Il conflitto tra Russia e Ucraina si protrae, ormai, da quasi un anno. Nel corso degli ultimi dodici mesi si è ampiamente analyzzato il modus operandi e l’impatto della propaganda russa nei Paesi direttamente e indirettamente coinvolti nel conflitto. Si è prestata grande attenzione all’informazione, ai mezzi che erogano servizi destinati alla comunicazione e all’impatto generato sulle varie comunità. Se ne è ricavato un quadro complesso, a tratti confuso, che però consente di approntare importanti riflessioni su come soprattutto i nuovi media siano in grado di suscitare consensi anche di fronte a narrazioni distorte e a fake news.
Nei Balcani, ad esempio, sono diverse le considerazioni da fare: ogni Paese, sia per la storia che li contraddistingue, sia per la quotidianità del pacchetto di informazioni erogato, ha reagito in maniera diversa alla propaganda. Molto dipende dall’uso che si fa dei mezzi di comunicazione, da come gli attori protagonisti raccontino „la verità“, dalla volontà di approfondire le informazioni che vengono recepite e così via. Bisogna anche aprire una parentesi prima di procedere all’approfondimento dell’impatto che la propaganda russa ha avuto nei Balcani nell’ultimo periodo. Ogni giorno si produce una quantità indefinita di notizie: i social network hanno velocizzato il processo di diffusione, facendo sì che gli utenti debbano rincorrere le news. Le criticità si presentano nel momento in cui, trovandosi di fronte a informazioni spesso limitate o comunque poco approfondite, gli utenti restano destabilizzati e faticano a ottenere un quadro di insieme chiaro e preciso. Pertanto, è facile comprendere che a causa della celerità con cui si viene in contatto con le notizie e alla scarsa perizia con cui queste vengono diffuse, la produzione di fake news ha trovato un terreno fertile. Instillare il dubbio, insomma, non è mai stato più semplice. A sorprendere è che tutto ciò accade spesso anche in contesti ultramoderni, dove il tasso di scolarizzazione è prevalentemente elevato e dove ci si muove andando a passi svelti incontro al metaverso. Il paradosso degli anni 2000: l’impotenza dell’essere umano, che si dichiara pronto, ma che nella realtà dei fatti è in affanno per quanto veloce scorra la vita, di fronte al nuovo che avanza.
Propaganda russa tramite i media: come hanno reagito i Paesi nei Balcani
Si diceva il nuovo che avanza. Eppure, guardando a quanto accade oggi in alcuni Paesi, come Russia e Ucraina, sembra che il tempo si sia cristallizzato, anzi che
sia stato riavvolto il nastro. Dal momento che, nel 2023, i conflitti nel mondo sono ancora numerosi, la perdita di vite umane fa ancora parte del disegno della lotta al potere, che sia economico o geopolitico. C’è forse un’aggravante rispetto al passato: la possibilità di arrivare a molte persone grazie alla diffusione di dispositivi mobili digitali e contestualmente a quella di contenitori web che consentono la circolazione di notizie in tempi brevissimi.
Rusko a Ucraina jsou ve válce od jednoho roku. Kromě krutosti a utrpení, které se nákladně sdělují v médiích, je tu i něco jiného. C’è la propagazione di notizie che realizza, volontariamente e non, un conflitto alternativo.
Ad esempio, in Serbia la propaganda è iniziata ancora prima che scoppiasse il conflitto. Se ne ha contezza grazie a una notizia falsa diffusa dai media, quasi interamente controllati dallo Stato, due giorni prima che iniziasse la guerra. I giornali scrivevano, con nettezza, in modo che si potesse avere alcun dubbio, che l’Ucraina di Zelensky avesse già attaccato la Russia di Putin. Una fake news accolta come una verità incontrovertibile, anche perché le istituzioni, così come larga parte della stessa popolazione serba , ritengono il Cremlino un’alternativa gradita all’Unione Europea. Si verifica un fenomeno simile anche in Bulgaria; i servizi segreti bulgari hanno infatti reso noto che politici, personaggi pubblici e giornalisti lavorano (alcuni con un cospicuo tornaconto economico), in maniera certosina, specifica, proprio affinché passi un messaggio: la Russia combatte per la libertà. Dopo lo scoppio del conflitto le pubblicazioni sull’argomento in Bulgaria sono passate da circa 39 al giorno a 397. Spesso, addirittura, i media bulgari riproducono integralmente i contenuti ufficiali di quelli russi. Ma cosa se n’è ricavato? Quale è stata la reazione della popolazione? Stando ai risultati dell’indagine Eurobarometro del Parlamento europeo, diffusi nella primavera del 2022, la Bulgaria è il Paese con la più alta percentuale di cittadini con un atteggiamento positivo nei confronti della Russia. Si fa un discorso non dissimile, ma forse per ragioni differenti, quando si parla della propaganda russa in Ungheria. La dipendenza dall’energia russa ha comportato per l’Ungheria la necessità di non ostacolare la diffusione di notizie selezionate, filo-russe o distorte sul conflitto. L’Ungheria ha avallato le sanzioni imposte alla Russia ma, stando a quanto dichiarato dal portavoce del governo Peter Szijjarto a Russia Today: „Non siamo nella posizione di infrangere l’unità europea su questi temi…ci siamo trovati“. Il giornalista aveva chiesto a Szijjarto perché l’Ungheria non avesse votato „no“ alle sanzioni; rispondere in maniera netta non sarebbe stato possibile.
In controtendenza c’è la Croazia che sin dall’inizio dello scoppio del conflitto ha adottato misure antirusse nel campo della comunicazione. Ciò anche in base a quanto stabilito dalle direttive impartite dalla Commissione Europea sul blocco e la messa al bando delle fonti mediatiche russe nei Paesi Europei. Combattere la disinformazione sul tema ha significato evitare di veicolare messaggi distorti o non veritieri tra i vari canali mediatici. Un ultimo caso rilevante può riguardare la Romania. Geograficamente non è un Paese balcanico, ma ha una lunga tradizione di influenza russa per quel che riguarda il contesto socio-politico e culturale e ha un ruolo strategico, considerando le nazioni confinanti. La propaganda russa in Romania è iniziata negli anni ’40 del Novecento, ma oggi, con lo scoppio del conflitto e i sistemi digitali in gioco si è rilevato che la maggior parte della popolazione si informa attraverso la tv e, grazie a un sondaggio condotto dall’INSCOP, che il 55% delle persone sotto i 44 anni è consapevole di essere esposto a fake news. Va però considerato anche il 42,6% che invece pensa di non essere andato incontro a notizie false; un numero preoccupante che sembra essere crescente. Certo è che in Romania non si parla quasi più russo, ma la scarsa consapevolezza nei confronti dell’informazione, che deriva da tv, radio e social, rappresenta un fattore negativo rilevante.
Tirando le somme, anche se le ragioni che spingono ad appoggiare la propaganda russa in alcuni Paesi nei Balcani sono diverse tra loro, il risultato è il medesimo: disinformazione. Già durante la pandemia da Covid-19 si è potuto vedere come la creazione di notizie, video, immagini, dichiarazioni montate ad arte, potesse arrivare a scatenare una vera e propria guerra, che ha permesso a molti di dubitare su ogni cosa arrivando a gridare al complotto, al non avere più alcuna fiducia nelle istituzioni, nella medicina e nei media. Giocare sulla paura, sulla scarsa conoscenza, sulla possibilità di perdere tutto, come nel caso dell’Ungheria che è arrivata a vedere l’inflazione schizzare al 22%, può risultare vincente. La propaganda si basa sul generare confusione, è questo il punto da cui partire per arginare il fenomeno: mettere ordine.