Al momento, stando ai dati pubblicati dall’aggregatore di sondaggi Realclearpolling, Donald Trump risulta essere ancora in vantaggio sulla sua nuova avversaria, l’attuale vicepresidente Kamala Harris. Si parla di un +1,2%, un dato che risulta comunque assottigliato rispetto alla quota raggiunta da “The Donald” dopo il duello TV con il Presidente Biden. La Harris al momento ha davanti a sé tre mesi complicati, durante i quali avrà l’arduo compito di convincere gli elettori democratici a portarla alla Casa Bianca, questa volta come padrona di casa.
LUNA DI MIELE ALLA CASA BIANCA
Proprio di questo si tratta, di una luna di miele tra la candidata Harris e gli elettori democratici dopo il passo indietro di Biden. La decisione del Presidente di completare il suo mandato ma di non correre per le prossime elezioni, ha infatti dato nuova linfa al mondo Dem, creando una compattezza che, negli ultimi mesi, si era vista soltanto nella spinta nei confronti di Biden per fargli gettare la spugna. Kamala Harris al momento sta quindi vivendo una sua particolare luna di miele che però, una volta finita, dovrà far mantenere l’appoggio degli elettori per superare il candidato repubblicano. Al momento l’attesa è per il dibattito TV che il tycoon vorrebbe avvenisse al più presto. Trump non teme certamente il confronto in video, soprattutto dopo la sonora batosta consegnata a Biden nell’ultimo incontro televisivo, dal quale è scaturito proprio il movimento che ha portato lo stesso Presidente ad abbandonare la candidatura in favore della sua vice.
IL DIBATTITO DI GIUGNO
“Non so davvero cosa abbia detto alla fine di quella frase, e credo che nemmeno lui lo sapesse”. È così che Donald Trump ha ironizzato al termine del duello TV del 27 giugno scorso, dopo che la debacle del Presidente Biden è risultata palese a milioni di americani. È negli studi della CNN che Biden si è giocato la prosecuzione della sua carriera politica. In quell’occasione avrebbe dovuto dimostrare ai cittadini degli Stati Uniti di essere in grado di correre e di portare a termine un secondo mandato, il tutto cercando di superare le gaffe e i comportamenti che negli scorsi mesi avevano fatto pensare ad un uomo in età troppo avanzata per sedere nello Studio Ovale. Sono stati 90 minuti in cui tuttavia il Presidente ha sprecato la sua occasione e non è riuscito ad allontanarsi dalle corde contro cui lo aveva già costretto Trump. Le risposte imprecise (alle volte senza molto senso) comunicate con una voce roca e strascicata, hanno messo in crisi i Dem che non sono più riusciti ad arginare il declino del Presidente e le voci che – da più parti – chiedevano un suo passo indietro.
GAFFE E SONDAGGI
Ma a pesare sulla campagna di Biden e sulle pressioni del mondo Dem non è stato solo lo scontro in TV. Nei giorni seguenti, infatti, Biden ha continuato a cadere in tutta una serie di gaffe e contraddizioni che hanno sempre di più alimentato il dibattito e dato argomenti al fronte interno ai Dem che chiedeva un clamoroso passo indietro. Infine, quando in occasione del vertice NATO a Washington il Presidente degli Stati Uniti ha chiamato “Putin” il leader ucraino Volodymyr Zelensky, tra i Democratici sono aumentate le voci in sostegno all’endorsement alla Harris. Come se non bastasse, in conferenza stampa, riferendosi proprio al suo numero due, Biden ha parlato del “vice presidente Trump”. C’è poi stata la vicenda del “black man”, termine con il quale il Presidente ha indicato il Segretario alla Difesa, Lloyd Austin, in un’intervista alla Black Entertainment Television (BET) non ricordandone il nome.
Pressioni fortissime per un passo indietro sono quindi arrivate anche da quelli che erano gli alleati storici di Biden, esponenti del partito come Nancy Pelosi o l’ex Presidente Barack Obama. Prese di posizione arrivate assieme ai dati devastanti dei sondaggi che hanno spinto anche i deputati del Congresso e alcuni senatori a chiedere di lasciare la corsa per le presidenziali.
LO STOP AI FINANZIAMENTI
Ma la scelta di lasciare il passo, comunicata in pochi minuti e affidata ad X quasi in contemporanea alla comunicazione al suo staff, sembrerebbe essere arrivata non tanto per le pressioni ricevute, per i consigli medici o della famiglia del Presidente. E nemmeno la possibilità di essere sconfitto dal tycoon del GOP avrebbe fatto vacillare Biden. L’unico vero ostacolo, risultato insormontabile, sembra essere stato il blocco delle donazioni. I grandi donatori della campagna elettorale, infatti, hanno utilizzato l’unico strumento veramente nelle loro mani per influenzare le decisioni del Presidente in carica: hanno chiuso i rubinetti dei finanziamenti. In molti, infatti, hanno deciso di ritirare i loro impegni economici, non essendo più interessati a finanziare una campagna che si preannunciava sempre più destinata alla catastrofe. Con il passo indietro di Biden e l’endorsement alla sua vice Kamala Harris, i finanziamenti sono tornati ad alimentare la macchina organizzativa della campagna democratica per le Elezioni Presidenziali, dando il senso della forza degli investitori in questo frangente.
LE DIFFICOLTÀ PER THE DONALD
Quali sono al momento le difficoltà che il tycoon deve affrontare con il cambio di candidato per i Democratici? Che ostacoli ci sono sulla strada per lo Studio Ovale? Sicuramente la campagna elettorale di Trump dovrà essere riorientata. Non si avrà più a che fare con “Sleepy Joe” – è questo il soprannome dato a Biden da Trump già da tempo – ma con una candidata giovane e molto attiva, energica e preparata, con un curriculum di altissimo livello all’interno delle istituzioni americane. Una candidata capacissima di ribattere in un duello TV e contro la quale le spavalde strategie oratorie, marchio di fabbrica del tycoon, non solo non funzionerebbero, ma potrebbero essere controproducenti in tantissimi modi diversi. Basti pensare come la popolarità ottenuta da Trump all’indomani dell’attentato di Butler, con la volontà di utilizzare la retorica del martire e del redivivo, sia stata offuscata, dopo appena una settimana, dalle mosse dei Dem e della candidata Kamala Harris.
LA RETORICA DEL SOGNO
Trump dovrà competere contro la “retorica del sogno”, quello americano, incarnato dalla candidata Harris. Se da un lato lui, The Donald, rappresenta il successo e le possibilità economiche del grande imprenditore, dall’altro la Harris – figlia di attivisti per i diritti civili, avvocato, ex procuratore distrettuale di San Francisco, specializzata in casi legati alla violenza sessuale su minori, ex procuratore generale della California, senatrice dal 2017 e infine Vicepresidente – rappresenta la storia personale di una donna di colore candidata al più alto scranno del Paese. Con un background del genere, la volontà della nuova campagna Dem è quella di mobilitare tutta una serie di categorie sulle quali avrebbe dovuto far presa Biden ma che invece erano ormai a rischio. Giovani, neri, ispanici e i tanti disillusi dalla politica: sono queste le persone che la Harris punta a portare al voto, puntando su argomenti molto caldi e polarizzanti come l’aborto e l’immigrazione. Tematiche sulle quali le posizioni dei due candidati non potrebbero che essere più lontane. DA UN LATO ALL’ALTRO DELL’ATLANTICO
Naturalmente le elezioni Usa sono una vicenda molto seguita dalle cancellerie europee e dalle istituzioni dell’Unione Europea, soprattutto per quanto comporta il ruolo degli USA nell’Alleanza Atlantica e sullo scacchiere internazionale. Con grandi elementi di instabilità, come la guerra tra Russia e Ucraina oppure il conflitto israelo-palestinese che va via via sempre più acutizzandosi, l’attenzione sul dibattito tra i candidati e sul ruolo che gli Stati Uniti avranno all’estero è sempre più di interesse al di qua dell’Atlantico.