Le mie riflessioni in questa terza domenica di Avvento prendono spunto da un articolo pubblicato questa mattina dal quotidiano online spagnolo “El Confidencial”, senza dubbio uno dei più letti e influenti. Questo giornale riporta i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica spagnolo che indicano che negli anni 2022 e 2023 la Spagna ha guadagnato 1.150.000 abitanti, anche se la crescita vegetativa – cioè la crescita causata dalla differenza tra nascite e morti all’interno del paese – è stata negativa, per cui l’aumento della popolazione è interamente dovuto al massiccio afflusso di immigrati. L’Istituto Nazionale di Statistica non distingue tra immigrati legali, con permesso di soggiorno o di residenza e lavoro, e immigrati clandestini, perché in Spagna, dall’epoca di Aznar – quando è iniziato l’arrivo più o meno continuo e persistente di immigrati – i cittadini non hanno informazioni affidabili sul numero di immigrati che soggiornano illegalmente o irregolarmente sul territorio nazionale. L’articolo riprende anche i dati Eurostat, secondo i quali la Spagna crescerà di soli 525.097 abitanti nel 2023 (circa 20.000 in meno di quanto riconosciuto dalla Spagna); la Germania crescerà di 333.000 e la Francia di 229.000; mentre l’Italia, ad esempio, vedrà la sua popolazione diminuire di 7.452 unità. Non ho dubbi che le misure attuate dal governo italiano per controllare le frontiere e l’immigrazione clandestina dal 2022 abbiano avuto questo effetto. Poiché la crescita demografica è quasi negativa in tutta Europa, solo i paesi che hanno adottato misure per prevenire l’ondata di immigrazione rischiano di ridurre la propria popolazione.
Secondo l’osservatorio statistico dell’Unione Europea, Polonia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Italia, Slovacchia e Bulgaria perderanno popolazione nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2023 e il 1° gennaio 2024. Il mio ragionamento, se mi permetti la mancanza di modestia, è corretto. In quel periodo la Polonia era sotto il governo della coalizione conservatrice Diritto e Giustizia, che ha attuato misure di controllo delle frontiere, come Orbán in Ungheria. D’altra parte, la crescita demografica dovuta all’arrivo di immigrati è guidata da Spagna, Germania, Francia, Paesi Bassi, ma anche Portogallo e Irlanda, due paesi che negli ultimi mesi hanno sperimentato problemi derivanti dai processi di immigrazione e dai conflitti di convivenza. Eurostat analizza anche la cosiddetta migrazione netta aggiustata, ovvero la differenza tra immigrati ed emigrati; partenze e ingressi nel paese, con il risultato che la Spagna è in testa a questo dato, più del doppio della Francia e più del triplo dell’Italia. La Spagna ha già una popolazione straniera di circa il 18%, con numeri perfettamente paragonabili a quelli della Svezia o della Germania, ma perché non c’è un’esplosione collettiva in risposta a questi fenomeni? Fondamentalmente, perché la maggior parte di questi immigrati proviene dall’America Latina e condivide con gli spagnoli cultura, lingua e religione.
Questi dati hanno conseguenze o effetti immediati: ad esempio, l’arrivo di 1 milione di immigrati, in età adulta, in due anni, ha portato a un aumento brutale dei prezzi delle case poiché – l’offerta di appartamenti costruiti non sta praticamente crescendo a causa della mancanza di incentivi pubblici di qualsiasi tipo – il mercato è completamente squilibrato. L’offerta rimane praticamente invariata, ma la domanda aumenta brutalmente.
Lo stesso vale per la pressione che questo più di un milione di immigrati esercita sui servizi pubblici, dal momento che circa 900.000 dei posti di lavoro creati sono occupati da stranieri, con il risultato che quasi 300.000 rappresentano un costo aggiuntivo per il sistema sanitario ed educativo, per la rete dei trasporti e per lo stesso mercato immobiliare, oltre che per la sicurezza.
E questo perché, secondo la Banca di Spagna, il 76% dei nuovi posti di lavoro è andato a stranieri e solo il 24% a spagnoli, che quindi mantengono alti i dati sulla disoccupazione. In Italia, invece, il rapporto è opposto: il 75% dei nuovi posti di lavoro è andato agli italiani e un quarto agli immigrati.
La situazione proè peggiore in Svezia dove, secondo la Banca di Spagna, il 100% della creazione di posti di lavoro nel 2023 è andato agli immigrati e l’occupazione degli svedesi è diminuita, mentre la Germania e i Paesi Bassi mantengono percentuali altrettanto elevate di assunzioni di stranieri. In tutti questi paesi, e in particolare in Spagna, si registra un livello elevato e costante di disoccupazione tra i nati nel paese:
1. tutti i paesi europei continuano a creare posti di lavoro nonostante la crescita economica non sia particolarmente forte.
2º. Poiché si tratta di posti di lavoro meno retribuiti, vengono occupati dalla popolazione immigrata, il che comporta un calo dei salari medi e in molti casi, avendo salari bassi, continuano a dipendere dallo stato sociale.
Pertanto, la pressione sui servizi pubblici è in costante aumento, così come l’urgenza per gli stati socialdemocratici (praticamente tutti) di continuare ad aumentare la pressione fiscale sulle classi medie e lavoratrici europee. La domanda è chiara: tutto questo sarà sopportabile? Fino a che punto e per quanto tempo i sistemi del cosiddetto stato sociale saranno in grado di reggere?