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I social media entrano in famiglia: tra dipendenza e regolamentazione

Scienze e tecnologia - Ottobre 15, 2024

È innegabile che i social media abbiano avuto – e continuino ad avere – un ruolo sempre più centrale nelle nostre vite, nelle strategie di comunicazione e nel modo in cui ci rapportiamo con gli altri, sia nel mondo digitale sia in quello offline. Ben il 59% dei cittadini dell’Unione Europea hanno una presenza attiva all’interno dei social media, creando profili social e postando messaggi o immagini (dati Eurostat). Si parte da punte del 91% della popolazione in Danimarca (seguita da Cipro con l’83% e dall’Ungheria con l’81%), fino alle percentuali più basse, con la Francia al 44%, preceduta dalla Germania al 49% e dall’Italia al 53%. È proprio questa enorme permeabilità che hanno i social media all’interno della società europea ad aver ispirato l’interessantissimo panel contenuto nel programma dello European Congress on Family organizzato nell’ambito del Culture Weekend di ECR Party, che si terrà a Dubrovnik, in Croazia, dal 18 al 20 ottobre. Il titolo dell’incontro pone subito l’accento sull’importanza di regolare e limitare – soprattutto all’interno della famiglia – l’abuso di questi strumenti di comunicazione: “Offline, Reconnecting the Family: Social media, regulating the addiction of the century”.
REGOLE E LIMITAZIONI
Parlare dei social media come della “dipendenza del secolo” può sembrare un’esagerazione. Se però si pensa alla diffusione che hanno avuto all’interno di tutti gli strati della nostra società, senza distinzione di estrazione sociale o di età, agli studi in campo sanitario ispirati da questi strumenti, e ai tentativi (più o meno grossolani ed efficaci) di regolamentarli, è facile capire come quest’espressione sia tutt’altro che esagerata. A livello europeo, infatti, attraverso il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), viene prevista un’età minima di 16 anni per potersi iscriversi a queste piattaforme. Ciononostante, alcuni Stati membri hanno voluto mantenere autonomia in queste decisioni, riducendo il limite all’età di 13 anni.
LA SALUTE DEI PIÙ GIOVANI
È soprattutto il coinvolgimento dei più giovani nel mondo dei social media – all’interno e al di fuori dell’ambito familiare – ad essere al centro del dibattito. Basti pensare che nel 2022 l’OMS ha condotto uno studio (il report “Health behaviour in scholl-aged children”) che ha sottolineato come un adolescente su dieci, cioè all’incirca l’11% della popolazione europea target, con livelli più elevati nelle femmine rispetto ai maschi (13% contro 9%), abbia mostrato segni di un comportamento pericoloso o problematico sui social media. Un dato, questo, in forte crescita, soprattutto se lo si confronta con l’equivalente fornito dall’OMS per il 2018, che si attestava al 7%. L’uso problematico si configura come un comportamento che presenti sintomi simili alla dipendenza: dall’incapacità di controllare l’uso dei social, fino all’astinenza quando se ne viene privati, passando per l’abbandono di attività quotidiane a favore dell’uso compulsivo delle piattaforme. Un fenomeno che, come osservato anche dall’OMS, solleva non poche preoccupazioni sull’impatto che questa e altre tecnologie – pensiamo all’avvento dell’AI – possano avere sulla salute mentale e sul benessere dei giovani.
DISCONNESSIONE E ALFABETIZZAZIONE DIGITALE
Le attenzioni, soprattutto nell’ambito familiare e amicale, sono sicuramente importanti e la famiglia ha un ruolo chiave nella “disconnessione” dei più giovani.

Non possono però mancare le attenzioni ad altre politiche come quelle legate all’ambiente scolastico, che deve promuovere e insegnare un’alfabetizzazione digitale sana, anche incoraggiando delle conversazioni sul benessere digitale che possano travalicare i confini delle aule scolastiche, e riversarsi, come vettori di coscienza critica, anche tra le pareti di casa. Allo stesso tempo deve essere facilitato l’accesso ai servizi di salute mentale che, al pari della scuola, devono contenere personale formato e capace di interfacciarsi con queste nuove forme di dipendenza. Quindi, anche la formazione e l’alfabetizzazione digitale e informatica devono progredire su questi due piani: quello rivolto alla funzionalità degli strumenti (e quindi agli utilizzatori, con maggiore attenzione ai giovani) e quello che guarda agli operatori del settore, che devono essere formati per comprendere le criticità e prevedere possibili distorsioni nell’utilizzo di questi stessi strumenti.