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Il “borgo globale” del G7 italiano

Politica - Giugno 28, 2024

Cosa resta dell’appuntamento del G7 in Puglia sotto la Presidenza italiana del Premier Giorgia Meloni? Sicuramente un’immagine straordinaria della cultura, dei luoghi e delle tradizioni del nostro Paese e della Puglia in particolare, ma anche una dichiarazione finale ricchissima di intenti e di importanti prese di posizione dei Sette Grandi davanti al panorama internazionale.

Si è trattato di un G7 assolutamente al di là degli schemi. Intanto per la presenza, la prima volta nella storia di queste riunioni, del Pontefice. Papa Francesco, infatti, è stato presente alla sessione Outreach intervenendo (con la versione breve del suo discorso, così come simpaticamente ammesso dallo stesso Pontefice) sul tema dell’intelligenza artificiale.. Inoltre, questo appuntamento del 2024 ha anche ospitato diversi rilevanti attori internazionali, come ad esempio i vertici dell’ONU, del Fondo Monetario Internazionale, dell’OCSE, della Banca Africana di Sviluppo e dell’Unione Africana. Importante anche la presenza di leader internazionali, come Volodymyr Zelensky per l’Ucraina, e i leader di varie nazioni Africane e mediterranee, del Brasile, dell’India e degli Emirati Arabi Uniti. Si tratta indubbiamente di un segnale importante che questo G7 sotto la Presidenza italiana ha voluto lanciare: questa riunione non è stata “a porte chiuse”, l’incontro non si è svolto in un fortino all’interno del quale difendersi, ma in una piazza aperta, che vuole aprirsi al Mondo per cercare soluzioni di sviluppo che siano giuste e condivise. Non si è trattato di una riunione dei grandi dell’Occidente contro il resto del Mondo, ed era sicuramente questo l’approccio che il Premier Meloni aveva in mente quando in conferenza stampa ha utilizzato la metafora del borgo. Meloni, infatti, ha parlato del G7 in Puglia come di un “borgo globale”, un luogo dove scoprire le proprie identità per avere la forza e l’intelligenza di affrontare insieme le sfide che si avvicendano sullo scacchiere internazionale.

Elemento importante, forse più chiaro agli addetti ai lavori rispetto alle cronache nazionali e internazionali (occupate a soffermarsi su dettagli tutt’altro che rilevanti), è stata la comunanza di intenti tra i leader. Una vicinanza che è dimostrata dal fatto che la stessa Dichiarazione finale del G7 sia stata definita e completata il giorno prima della firma, senza essere oggetto di limature da parte degli sherpa fino agli istanti prima della cerimonia finale. È stata la stessa Presidente Meloni a chiedere concretezza e compattezza ai leader, ottenendo di rimando un documento molto ampio – come spesso accade in questi contesti – ma estremamente concreto e significativo, concentrato e centrato sulle sfide globali che le nazioni del G7 sono chiamate ad affrontare in questi tempi così incerti.

 

Naturalmente era impossibile che questo consesso non si occupasse delle maggiori crisi internazionali, come i conflitti in Ucraina e a Gaza, senza dimenticare i focolai di instabilità che continuano a moltiplicarsi sullo scenario globale.

Partendo dall’aggressione russa ai territori ucraini, l’impegno che arriva dalla riunione dei Sette Grandi è compatto e riguarda, così come dichiarato dallo stesso Premier Meloni in diverse occasioni, la difesa del sistema di diritto internazionale che regola i rapporti tra gli stati. Un fattore, questo, che è stato sicuramente messo a repentaglio dall’aggressione russa. In questo caso, il sostegno all’Ucraina è fuori discussione. Una posizione unica e compatta, distante dalle fratture che alcuni attori internazionali speravano invece di trovare tra i Sette Grandi. La scelta è quella di un ulteriore rafforzamento dell’impegno per sostenere la lotta del popolo ucraino, e va sottolineato che l’impegno economico con cui si è chiusa la riunione era tutt’altro che scontato all’inizio dei colloqui. Impegno che prevede 50 miliardi di dollari legati ai profitti extra che saranno generati nei prossimi anni dall’immobilizzazione degli asset russi in Europa. Si tratta di un passo politico molto importante e di fondamentale importanza in termini di unità di intenti. Nelle prossime settimane la partita si giocherà tutta a livello di Ministri degli Esteri per definire con precisione il funzionamento di questo meccanismo. Qualche anticipazione è già stata data dai leader, compresa la stessa Giorgia Meloni che ai cronisti ha spiegato che dovrebbero essere USA, Canada, Regno Unito e Giappone (dopo una verifica costituzionale) a fornire il finanziamento. Attualmente, infatti, le nazioni europee e l’UE non sarebbero direttamente coinvolte. C’è da ricordare che la maggior parte degli asset russi sul tavolo sono immobilizzati in Europa e sono quindi questi paesi a dover, nei prossimi anni, fornire garanzie per la restituzione del prestito. Una decisione che in ogni caso dovrà passare per il Consiglio Europeo, innestandosi nella difficile partita che in questi giorni si sta giocando a Bruxelles.

L’impegno assunto dai Sette Grandi conferma quindi il sostegno che ha consentito in questi due anni all’Ucraina di non essere sconfitta. Certo è che un prestito così ingente, soprattutto nel momento in cui le forze russe si stanno preparando alla nuova offensiva estiva (che potrebbe partire con forza già nelle prossime settimane), ha creato alcuni dubbi sulla sostenibilità in futuro, soprattutto quando gli asset russi dovessero essere scongelati. Una prospettiva che è stata evocata anche dal Premier Meloni che ha però sottolineato come un’eventuale restituzione di questi asset dovrebbe passare per un vero processo di pace, nel quale verrebbe inserito anche un capitolo sui costi e sulle responsabilità della ricostruzione. Un percorso che però dovrà avere delle basi solide e non prettamente propagandistiche, come quelle contenute nella proposta per la pace avanzata nei giorni scorsi da Putin che, di fatto, aprirebbe ad un processo di pacificazione soltanto se l’Ucraina abbandonasse le regioni ucraine.

La questione del conflitto in Medio Oriente è poi rientrata a pieno titolo sia nella Dichiarazione finale firmata dai Sette Grandi, sia negli interventi delle nazioni ospiti nella sessione Outreach del vertice. In particolare, è tornata forte la prospettiva – appoggiata dai Sette – della soluzione dei due stati, anche come strumento di lungo periodo per scongiurare un’escalation nella regione. Una prospettiva che però andrebbe disinnescata fin da subito con il sostegno, inserito nella Dichiarazione, alla proposta di mediazione statunitense per il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione immediata di tutti gli ostaggi israeliani. Un processo che deve andare di pari passo con l’aumento dell’assistenza umanitaria alla popolazione civile, un impegno – ricordato anche dal Premier Meloni – portato fortemente avanti dall’Italia in questi mesi di conflitto.

Sempre guardando allo scacchiere globale, non può non saltare agli occhi il legame (certamente sottolineato dalla Presidenza italiana) tra il governo dei fenomeni migratori e la necessità di ripensare il modello di sviluppo e cooperazione con i paesi da cui partono i flussi. Un modello che dovrà essere sempre più legato ad un partenariato che si basi su un rapporto tra pari, perché queste nazioni riescano a prosperare con le risorse che già possiedono, eliminando quindi tutti i fattori che innescano la migrazione. Il lavoro importante sarà quello proposto dal Premier Meloni, cioè la messa a sistema dei tre grandi progetti che al momento guardano a questi paesi, partendo dal Piano Mattei per l’Africa (iniziativa completamente italiana), passando per il Global Gateway dell’Unione Europea, fino alla Partnership for Global Infrastructure and Investment, avviata due anni orsono proprio dai paesi del G7.

Si parla di energia pulita, tecnologia, produzione agricola, fino alla partecipazione delle economie africane alla catena globale del valore, così da aumentare la ricchezza in queste nazioni. È sicuramente un approccio nuovo e condiviso alla cooperazione con il continente africano il modo migliore per affrontare l’emergenza del governo dei flussi migratori. Un impegno comune che per la prima volta entra nell’agenda del G7 su stimolo italiano. La speranza è che con queste dichiarazioni si punti ad affrontare quelle che sono le cause profonde della migrazione, a partire proprio dal diritto a non emigrare, trovando nel proprio paese tutte le opportunità per vivere una vita piena e onorevole. Naturalmente l’impegno non può prescindere dalla lotta all’immigrazione illegale e ai trafficanti di esseri umani. Il Premier Meloni, davanti ai cronisti, ha parlato di una “coalizione globale” contro i trafficanti, un fenomeno che genera una nuova forma di schiavitù, un volume d’affari che supera al momento quello del traffico di armi, e che è eguagliato solo da quello degli stupefacenti.

Non poteva che arrivare dall’Italia il modello per contrastare questo traffico. È il famoso motto “follow the money”, segui i soldi, dei giudici Falcone e Borsellino nella lotta alla mafia ad essere il riferimento che questa coalizione dovrà avere nel contrasto all’immigrazione illegale. Il tutto attraverso una serie di iniziative comuni, come lo scambio di informazioni tra le intelligence nazionali, le investigazioni congiunte e l’armonizzazione delle legislazioni in tema di confisca dei profitti illeciti. Su tutto questo la decisione è stata quella di incaricare i Ministri degli Interni per la costruzione di un piano di azione che vada adottato quanto prima.

Dall’identità nazionale alle sfide internazionali. Il “borgo globale” evocato da Giorgia Meloni dovrà avere modo, nei prossimi mesi, di dare seguito e sostanza a quanto affermato nella Dichiarazione Finale. Si tratta di temi quantomai urgenti e sentiti, soprattutto nel clima europeo che vede una riorganizzazione politica in corso nelle cancellerie e, allo stesso tempo, lo spettro dell’instabilità e della guerra ai confini orientali.