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Il centrodestra vince in Portogallo: Ma chi governerà?

Politica - Marzo 14, 2024

Vediamo tutti i possibili scenari dopo le elezioni legislative.

Domenica 10 marzo si sono tenute le elezioni legislative in Portogallo, un Paese molto importante per la stabilità dell’Europa meridionale e con importanti ripercussioni anche in vista delle prossime elezioni europee, in cui il Portogallo rappresenterà 21 eurodeputati, una delegazione piuttosto numerosa.

Le elezioni si sono svolte in anticipo a causa delle dimissioni di António Costa (PS, S&D), il primo ministro uscente che ha deciso di fare un passo indietro dopo le accuse di corruzione rivolte ad alcuni membri del suo governo. Nonostante l’iniziale coinvolgimento anche del Primo Ministro, tirato in ballo per la sua omonimia con il Ministro dell’Economia Antonio Costa Silva, il Premier è stato poi scagionato da ogni accusa ma ha comunque preferito lasciare il campo libero da equivoci.

Oltre ad essere stato Presidente del Consiglio del suo Paese, Costa gode anche di grande credibilità internazionale: recentemente intervistato in occasione di un evento elettorale, l’ex Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi (IV, RE) ha proposto Costa come nome socialista per la Presidenza della Commissione europea. Nonostante il partito di Renzi non abbia ottenuto grandi successi elettorali, è considerato una voce autorevole nel panorama riformista e liberale. Ciò suggerisce che il centro-destra europeo avrà difficoltà a catturare i voti di alcuni gruppi di sinistra all’interno di Renew Europe (RE).

Tornando al Portogallo, possiamo analizzare rapidamente lo scenario politico ed economico: lo scacchiere politico è sostanzialmente dominato da due partiti, i socialisti e i socialdemocratici (PSD, PPE), partiti emersi dopo la Rivoluzione dei Garofani e la destituzione del dittatore António Salazar che ha governato dal 1932 al 1968, attraverso la formula dell’Estado Novo che ha retto fino al 1974. La dittatura di Salazar fu caratterizzata da un insieme di valori fortemente cattolici e conservatori, da una forte presenza dell’esercito soprattutto nella gestione delle colonie (Angola e Mozambico su tutte) e da una gestione economica a metà strada tra il corporativismo mutuato dal fascismo italiano e un liberismo paragonabile a quello del Cile di Pinochet. I risultati furono presto annunciati: un aumento del PIL annuale del 5,7% tra il 1950 e il 1970 e un incremento della produzione industriale, dei consumi e della formazione di capitale. Naturalmente, la repressione politica e la progressiva caduta delle colonie favorirono il cambiamento con l’arrivo dei “garofani”.

PS e PSD si sono sostanzialmente spartiti il controllo del Paese dal 1976, alternandosi con una certa frequenza. António Costa era in carica dal 2015, quando i socialisti arrivarono secondi ma si assicurarono il governo accogliendo in coalizione il Bloco de Esquerda (BE, GUE/NGL) e il cartello elettorale composto dai comunisti (PCP, GUE/NGL) e dai verdi (PEV, Verdi/EFA). Da lì i successi si sono ripetuti e sono stati sempre maggiori, fino a raggiungere il 41,38% nel 2022 e la maggioranza assoluta dei seggi (120 su 230).

L’economia portoghese sta attualmente affrontando alcune sfide. Nonostante la situazione relativamente buona per alcuni anni, con una tassazione agevolata e un costo della vita in linea con gli stipendi, il Paese ha subito una contrazione significativa nel 2023. Ciò è dovuto a una combinazione di fattori quali l’inflazione che ha colpito l’intera Unione Europea, l’indebolimento dell’economia tedesca, che è uno dei principali partner commerciali del Portogallo, e altre questioni. Un altro problema è la difficoltà di pianificazione europea, dato che finora è stato speso solo il 12% dei fondi del Fondo di ripresa destinati al Portogallo. Ciò dimostra che trovare soluzioni efficaci alla recessione e alla contrazione economica si sta rivelando complesso.

Il risultato delle elezioni legislative è facile da dire: c’è un sostanziale pareggio al vertice, il PSD si è federato con i popolari CDS-PP (PPE) e i monarchici ottenendo il 29,7% e 79 seggi; il PS è indietro di un punto percentuale con 77 seggi; il partito di André Ventura Chega (ID) è arrivato in terza posizione con il 18.1% e 48 seggi; concludono il quadro politico le formazioni “minori” come IL (RE) con 8 seggi, BE con 5, la coalizione comunista-verde con 4, LIVRE (Verdi/ALE) con 4 e PAN (Verdi/ALE) con 1 seggio.

Entrambi i principali partiti hanno perso consensi rispetto alle elezioni legislative del 2022: se i socialisti hanno perso 13 punti, i socialdemocratici sono scesi di un altro punto percentuale, mentre la grande ascesa è stata quella di Chega.

André Ventura proviene dal PSD, da cui è uscito nel 2019, non seguendo più la linea del partito: il suo programma prevede una riduzione della tassazione, una riduzione del Parlamento, una riforma giudiziaria più severa e la fine dei sussidi per i disoccupati. Criticato da molti per le sue posizioni contro gli immigrati, gli zingari e i musulmani, Chega rappresenta comunque una voce fortemente alternativa e l’ingresso di Ventura nel Parlamento portoghese ha riportato l’estrema destra nel dibattito politico portoghese dopo 45 anni.

I risultati di Chega mostrano una crescita esponenziale: 1,3% nel 2019, 7,2% nel 2022, e a queste elezioni ha raggiunto il 18,1%, in una crescita che ricorda molto quella di Fratelli d’Italia (ECR) in Italia.

Come si è visto, nessuna forza politica ha i seggi per governare da sola o la possibilità di formare una coalizione di governo. Restano solo due possibili scenari per evitare nuove elezioni: da un lato la possibilità di una Grande Coalizione, con PSD e PS uniti per governare con 156 seggi su 230 ma sarebbe difficile far coesistere anime così diverse e soprattutto il rischio sarebbe quello di far crescere ulteriormente Chega che intercetterebbe tutti i voti di destra provenienti dal PSD; dall’altro, un governo di coalizione in cui il PSD avrebbe il ruolo di leader accompagnato da Chega in Parlamento.

Questa seconda strada, che sembrerebbe la più logica dal punto di vista ideologico, è invece la più difficile: già prima delle elezioni il leader del PSD, Luis Montenegro, aveva dichiarato in più occasioni che non avrebbe mai fatto accordi con Chega e anche i liberali si sono detti disponibili a coalizioni di governo purché non includessero Ventura tra loro. Nel discorso successivo alla sconfitta, Pedro Nuno Santos (leader dei socialisti) ha dichiarato che il PS non avrebbe votato contro un governo guidato dal PSD anche se il centrodestra “non dovrebbe contare sull’appoggio del PS per governare”.

Pertanto, se si delinea la strada di un governo a partito unico del PSD con l’appoggio esterno del PS per evitare l’arrivo di Chega al Governo, André Ventura ha “risposto al fuoco” affermando che voterà contro la Legge di Bilancio che sarà scritta dal PSD se non ci saranno voci negoziate con Chega.

Gli esiti di questa situazione sono potenzialmente critici: o Montenegro (o qualunque figura venga individuata come Primo Ministro) riuscirà ad adottare una “politica dei due forni”, accontentando di volta in volta i socialisti e il Chega, oppure, probabilmente, qualsiasi esperimento politico avviato è ormai destinato a crollare a dicembre, quando forse né i socialisti né il Chega voteranno a favore della Legge di Bilancio. Il sociologo António Barreto ha sottolineato come le nuove elezioni (che sarebbero le quarte in cinque anni) sarebbero un disastro, sia perché il Chega salirebbe ulteriormente, smantellando definitivamente il sistema bipartitico, sia perché il Portogallo diventerebbe uno di quegli Stati instabili, allontanando finanziamenti e investitori.

Dal punto di vista del Parlamento europeo, con i dati di queste elezioni legislative, si vedrebbero 8 seggi per il PSD, 7 per il PS, 4 per Chega, 1 per IL e 1 per BE. In questo quadro, il PPE recupererebbe un seggio, l’S&D ne perderebbe due, i Verdi ne perderebbero uno, mentre il GUE/NGL ne vedrebbe tre in meno, con un ingresso importante per l’ID con i 4 eurodeputati di Chega. Un’immagine profondamente trasformata, da tenere sotto controllo.