L’8 ottobre scorso, durante la seduta plenaria dell’Europarlamento, il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis ha difeso strenuamente gli obiettivi dell’Unione Europea in relazione al mercato automobilistico e, in particolare, sul tema dell’auto elettrica. L’obiettivo dal quale il vicepresidente non ha intenzione di discostarsi è quello dettato dal Green Deal dell’UE e cioè il raggiungimento, entro il 2035, del 100% di auto a zero emissioni.
LA PROPOSTA ITALIANA
Nelle scorse settimane il dibattito sull’obiettivo del 2035 è tornato all’attenzione – e nell’agenda – dell’Unione Europea e degli Stati membri anche grazie all’iniziativa intrapresa dal Ministro italiano delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, per chiedere che la revisione dell’obiettivo, inizialmente prevista per il 2026, possa essere anticipata al 2025, così da allineare la politica ambientale con quella industriale. Quest’ultima, infatti, difficilmente potrà trovare negli obiettivi così stretti promossi dall’UE un’occasione di sviluppo e di crescita, che invece è quanto di più servirebbe all’economia europea e degli Stati membri. In questo senso la proposta italiana, portata avanti in occasione del recente Consiglio Competitività di Bruxelles, non ha sortito gli effetti sperati, con molti degli Stati membri ancora convinti di proseguire, in maniera più ideologica che realistica, verso gli obiettivi posti da Bruxelles, senza guardare assolutamente alla realtà dei fatti e del mercato.
NESSUNO SPAZIO DI TRATTATIVA
Lo spazio di trattativa sulla proposta italiana sembra poi essere stato definitivamente chiuso dal vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis. Quest’ultimo, nel difendere gli obiettivi del Green Deal europeo alla plenaria dell’Europarlamento, ha sottolineato come l’industria automobilistica avrebbe avuto il tempo per adeguare le sue strutture a questo cambiamento che, seppur epocale, ha degli step e degli obiettivi ben precisi e conosciuti. Si tratta, secondo Dombrovskis, di un quadro semplice e chiaro di regole cui uniformarsi per generare nel settore quella sicurezza che dovrebbe portare le industrie automobilistiche a rispettare quegli step e quegli obiettivi. Sempre in plenaria però il vicepresidente della Commissione ha voluto aggiungere che è necessaria un’accelerazione, anche in questo caso in netto contrasto con quella che era la proposta italiana di rivedere (con un anno di anticipo e, quindi, nel 2025) gli obiettivi al 2035 e la revisione generale del Green Deal dell’Unione Europea. Dombrovskis, infatti, ha parlato della necessità di raddoppiare gli sforzi affinché il percorso di elettrificazione rimanga praticabile e ampiamente accettato dagli Stati membri. Per Bruxelles, quindi, questa transizione verso il 100% delle auto a zero emissioni resta tutt’ora un’enorme possibilità per il mercato e per l’industria europea dell’auto, pur – ammette il vicepresidente della Commissione – comportando diverse sfide. Esempio interessante di queste sfide, citato dallo stesso Dombrovskis nella plenaria dell’Europarlamento e ripreso anche dalla stampa internazionale, riguarda la presenza e la distribuzione delle colonnine di ricarica, elemento essenziale per l’aumento numerico di questo tipo di vetture. Il vicepresidente della Commissione ha ammesso che la distribuzione di queste colonnine all’interno dell’Unione Europea non è attualmente uniforme, e ha invitato a implementare e a distribuire meglio la rete di ricarica – operazione necessaria per supportare l’aumento di autovetture elettriche previsto negli obiettivi del Green Deal europeo. Naturalmente, questa affermazione non fa i conti con la complessità economica e tecnica di questa operazione, soprattutto nelle aree più marginali dell’Unione Europea e nelle regioni meno sviluppate dal punto di vista infrastrutturale degli Stati membri.
Difficoltà e difformità possono, infatti, presentarsi tra differenti regioni dello stesso Stato, così come tra le grandi città e le aree rurali, fino a registrare grossi divari tra quartieri centrali e arco periferico di una metropoli. Il dato citato dallo stesso Dombrovskis è chiaro e darebbe il senso di quello che potrebbe essere – qualora le statistiche fossero supportate dai dati reali del mercato – l’impatto di questo fenomeno. Il Vicepresidente, infatti, ha sottolineato come, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, una macchina su cinque venduta nel 2024 sarà ad alimentazione elettrica. Una previsione che non può non fare i conti con la rete di distribuzione dell’energia e con le colonnine di ricarica che, ad oggi, non sarebbero comunque in grado di soddisfare una richiesta di questo tipo. Al netto delle criticità e delle sfide, quindi, per l’esecutivo di Bruxelles la proposta italiana non è accettabile e gli obiettivi – con la loro scansione temporale – sono intoccabili. Ancora una volta la prospettiva ideologica non fa i conti con la realtà dei fatti e con la crisi, ad esempio, delle vendite nel settore automobilistico. Alle richieste delle industrie, infatti, le Istituzioni dell’Unione non sembrano avere altre risposte se non che il quadro di regole e obiettivi creati ha dato il tempo necessario per creare e pianificare una transizione equa e che quindi non si faranno passi indietro. Una prospettiva piuttosto miope, che non fa i conti con le vicissitudini economiche e internazionali e, non da ultimo, con il panorama di crisi che si sta vivendo con la guerra in Ucraina e con l’escalation in Medio Oriente.
I PROBLEMI DEL MERCATO
C’è però da considerare cosa pensa il mercato degli obiettivi europei, soprattutto in relazione alla scadenza del 2035 e degli step intermedi che potrebbero pesare non poco (in termini di sanzioni) sulle casse e sulle previsioni economiche delle grandi case automobilistiche. Ad oggi l’industria europea starebbe già mettendo in conto di dover pagare diversi miliardi di sanzioni. In particolare, si parla di circa 13 miliardi per le auto e 3 miliardi per i furgoni. Il tutto a causa dei mancati raggiungimenti dei target imposti dalle politiche green europee pronte a scattare già dal prossimo anno. Le multe dell’Unione Europea a partire dal 2025, infatti, toccheranno i costruttori che supereranno i 95 g/km di CO2 come media della propria flotta. Naturalmente il mercato non è omogeneo, così come le differenti case automobilistiche stanno rispondendo in maniera differente a questo cambio epocale nella produzione. I vari marchi hanno rese differenti e quindi anche diversi approcci. Resta però chiaro come l’industria automobilistica non navighi in acque calme, soprattutto in relazione alle vendite, agli obiettivi di riduzione delle emissioni e alla concorrenza derivante principalmente dall’import dal continente asiatico. Nei giorni scorsi, per esempio, sono stati i concessionari europei di Stellantis ad appellarsi ad Ursula von der Leyen soprattutto in merito alle difficoltà di vendita dei mezzi elettrici nel mercato dell’Unione Europea. Tra le richieste portate avanti dai concessionari c’è lo spostamento al 2027 dell’entrata in vigore dei nuovi limiti imposti dal Green Deal dell’Unione Europea sulle emissioni, che attualmente sono fissati, ed inizieranno a produrre sanzioni, già nel 2025. I concessionari lamentano il fatto che i consumatori europei rifiutino l’acquisto di auto elettriche, per le quali non mancano preoccupazioni in termini di prezzo, autonomia e accessibilità della ricarica.
Una posizione, questa, che è però in controtendenza con lo stesso produttore Stellantis, il quale invece sarebbe ottimista sulle quote di mercato da raggiungere in relazione agli obiettivi dell’Unione Europea. Una situazione di disaccordo e divergenza che crea non pochi problemi al mercato stesso, il quale, in ogni caso, non sembra pronto ad accogliere il volume di auto elettriche richiesto dal Green Deal europeo. A questo punto le richieste dei concessionari – che poco si distanziano da quelle del Governo italiano – non sembrano così lontane da quel necessario realismo, lontano dalla cieca ideologia, che serve per gestire questa transizione. Inoltre, anche la spaccatura tra produttori e le reti dei dealer non sembra essere un buon segno. Sembra quasi che le Istituzioni e i livelli più alti dell’industria e del mercato non abbiano più il polso della situazione, e la speranza è che vengano perlomeno ascoltate le voci che arrivano dal basso.