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La Francia e il peso del malcontento

Politica - Luglio 11, 2024

Le elezioni francesi in queste settimane sono state un elemento non di poco conto nel panorama europeo. Soprattutto se si prende in considerazione il particolare frangente che le istituzioni europee stanno vivendo all’indomani della tornata elettorale. Il Nuovo Fronte Popolare di Macron in Francia ha ormai assunto una diversa accezione. Iniziata come esperienza di governo, è diventata una vera e propria strategia difensiva per cercare, matematicamente, di arginare l’avanzata del Rassemblement National. Un’iniziativa che in queste settimane ha coinvolto totalmente l’attenzione del leader francese alle prese con la sua stessa decisione di ricorrere alle urne. La posizione assunta da Macron all’indomani delle elezioni europee si è trasformata in un autogol. La decisione di un uomo forte e politico, presa a porte chiuse con il consiglio di pochissimi collaboratori, si è presto rivelata un azzardo che ha fatto tremare l’Eliseo e sperare i tanti elettori del Rassemblement National di Le Pen in un cambio di passo. La situazione è diversa per la nuova maggioranza britannica, che ha puntato tutto sul campo riformista, guardando a Downing Street con riforme più leggere rispetto al passato degli ultimi premier.

TRA LONDRA E PARIGI

L’analisi – soprattutto quella comparativa – in questo caso sembra essere un esercizio di stile. Quello che è certo è che ci sono enormi differenze tra Parigi e Londra. Stiamo parlando di due paradigmi completamente diversi nell’affrontare le urne. Il partito laburista si è recato alle urne al termine di un lungo percorso durante il quale ha presentato un programma riformista che si distanzia non poco dagli scossoni politici degli ultimi anni. La scelta stessa di non fare bruschi passi indietro sulla Brexit (è stato lo stesso Starmer a dichiarare che probabilmente sarà la prossima generazione di politici britannici a rivedere questa decisione) ha dato un senso di stabilità che è stato premiato dai cittadini. La situazione è diversa in Francia. Qui l’alleanza formata per contrastare il disegno politico di Le Pen, soprattutto al secondo turno, non ha un chiaro segno politico, né una costruzione o un progetto preciso. Si tratta di una combinazione di comunisti, socialisti, ecologisti, estrema sinistra e molto altro (le sfumature interne sono molte) che molto probabilmente si sfalderà in poco tempo alla prova non tanto del governo, quanto della formazione del nuovo esecutivo francese stesso.

UNA MAGGIORANZA MATEMATICA

In questi giorni c’è un termine che è entrato prepotentemente nel vocabolario della politica europea: è il termine “desistenze”. Questo è il modo in cui si indica il passo indietro di alcuni candidati nei ballottaggi per favorire il nuovo fronte popolare e contrastare l’avanzata del Rassemblement National. Un’operazione certosina, portata avanti circoscrizione per circoscrizione, resa necessaria dall’avventata decisione del Premier di affidarsi alle urne, con la certezza di essere nuovamente legittimato dal voto popolare. Una certezza che è stata presto scossa dai dati del primo turno e dalle previsioni degli analisti che, pur ridimensionando il fenomeno “Le Pen”, davano comunque un margine di vittoria alla destra francese. Un’analisi per la quale non si possono certo biasimare gli analisti transalpini, forti di un assioma per il quale era quantomeno improbabile che Macron potesse trovare un’intesa con la sinistra di Mélenchon. Ma l’improbabile è diventato realtà: due terzi delle schede a tre candidati sono state “desistite” con l’intenzione di massimizzare i voti verso un unico candidato da opporre al Rassemblement.

IL RISULTATO DI DESTRA

Il risultato del Rassemblement national (143 seggi) è comunque in crescita e questo è innegabile. Soprattutto se lo confrontiamo con altri e con un secondo turno che non ha consegnato alla Francia una maggioranza netta e definita. Nessuno dei tre schieramenti è, infatti, in grado di governare da solo e nessuno ha realmente vinto le elezioni. Le differenze interne degli schieramenti portano, inoltre, a un clima di incertezza sul prossimo futuro, che analizzeremo più avanti. Tuttavia, è innegabile che il Rassemblement National sia il gruppo che ha ottenuto il maggior numero di seggi in termini assoluti. Un’opposizione che promette di essere più forte rispetto a un mese fa. La formazione del prossimo governo non può non tenere conto di questo fattore. Naturalmente, le dinamiche che si creeranno dovranno avere presupposti forti e comuni per condividere la guida della Francia. Quello che si intravede, tuttavia, è un raggruppamento forzato che non gode di ottima salute, soprattutto perché si basa per la maggior parte sull’ostilità verso il nemico, piuttosto che su idee e paradigmi realmente condivisi.

COSA SUCCEDE ORA?

La Quinta Repubblica francese prevedeva un sistema di governo semi-presidenziale che avrebbe aiutato il paese a evitare lo stallo dando maggior peso allo strumento elettivo. L’obiettivo era quello di evitare strane e infruttuose convivenze all’interno dell’Eliseo grazie al mandato presidenziale di cinque anni introdotto nel 2002. Infatti, il mandato del presidente dura cinque anni e le sue elezioni si svolgono solo poche settimane prima delle elezioni legislative che formano il parlamento. Con la mossa di Macron, questo equilibrio è stato sconvolto, portando la Francia in una situazione di instabilità che non viveva da anni. Con un governo di coalizione, difficilmente si avrà una totale comunanza di intenti con il Presidente. Come abbiamo già detto, la Francia non ha una maggioranza chiara al momento. L’alleanza di sinistra del Nuovo Fronte Popolare ha raccolto 182 seggi, la coalizione di Macron con Ensemble ne ha 168 e infine c’è il Rassemblement National con i suoi 143 seggi. Tre risultati ben lontani dai 289 seggi necessari per avere la maggioranza nel parlamento francese. Quindi cosa succederà? Per prima cosa sarà necessario eleggere il Presidente dell’Assemblea Nazionale (il primo scoglio negli accordi tra i partiti), poi Macron dovrà eleggere un nuovo Primo Ministro per sostituire Attal che si è dimesso. Successivamente, una volta presentata la squadra di governo, la palla passerà all’opposizione, che avrà la possibilità di presentare una mozione di sfiducia. In questo frangente, bisognerà capire se sarà possibile riunire i malcontenti che probabilmente ci saranno nella coalizione formata da Macron. Una possibile alternativa, anche se gli analisti francesi non la danno per favorita, sarebbe il ricorso a un governo tecnico che potrebbe traghettare la Francia verso un mandato a termine, in modo da riequilibrare l’esecutivo come previsto dal sistema istituito con la Quinta Repubblica. In ogni caso, sia che si arrivi a governare con la sinistra di Mélenchon, con i socialisti di Glucksmann, con un esecutivo di Ensemble più orientato a destra insieme ai repubblicani, o con una maggioranza formata da Ensemble, repubblicani e socialisti, resta la possibilità che il castello di carte non regga il peso degli scontenti. Per l’ala destra di Le Pen, questa è un’opportunità per raccogliere le frange più a destra di questo malcontento e rendere molto più difficile la permanenza di Macron all’Eliseo. La destra potrebbe addirittura mettere a rischio l’esecutivo con una mozione di sfiducia o altri meccanismi parlamentari che potrebbero mettere in imbarazzo il presidente anche con gli alleati europei. Interessante a questo proposito è il commento del Primo Ministro italiano Giorgia Meloni in occasione del vertice NATO di Washington per il 75° anniversario dell’Alleanza. La Meloni ha sottolineato che un tempo (non troppo lontano) l’Italia era considerata una nazione instabile, mentre altre nazioni europee avevano governi molto solidi, in alcuni casi addirittura granitici. Oggi, secondo il PM Meloni, si osserva una realtà molto diversa. L’Italia, infatti, vanta un esecutivo solido in un continente in cui diversi governi non sono più solidi e stabili come un tempo.