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La legislazione europea può mettere in crisi il settore dell’AI?

Scienze e tecnologia - Settembre 28, 2024

All’interno del Rapporto sul futuro della competitività europea, presentato a Bruxelles il 10 settembre dall’ex Governatore della BCE, Mario Draghi, c’è spazio anche per alcune analisi nei confronti dell’apporto che potranno dare allo sviluppo dell’economia europea le aziende che si occupano di intelligenza artificiale. Il rapporto di Draghi delinea per l’UE una nuova strategia industriale e di riforme politiche e organizzative, sostenendo che i nuovi investimenti – piuttosto ingenti – vadano realizzati con intelligenza, così da mettere al sicuro gli Stati membri dall’egemonia delle grandi potenze economiche internazionali.
IL PILASTRO DELL’INNOVAZIONE
L’intelligenza artificiale è uno degli aspetti trattati dal Report all’interno di quello che viene definito il pilastro dell’innovazione. La sfida essenziale per l’Europa, così come riferito da Draghi, è quella di frenare il declino e tornare ad essere competitivi sul mercato dell’innovazione. L’accelerazione richiamata dal Report è strettamente legata alla rivoluzione digitale innescata dall’intelligenza artificiale negli ultimi anni. Questa tecnologia viene, infatti, citata come una “finestra” per l’Europa e viene posto come obiettivo quello di riguadagnare il terreno perso in questo ambito nei confronti, soprattutto, degli Stati Uniti.
I NUMERI DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE
Nel presentare il Report, l’ex Governatore della BCE ha parlato di un esperimento realizzato eliminando il valore del settore dell’high tech dall’economia degli Stati Uniti, per confrontarla poi con quella dell’Unione Europea. Secondo Draghi a quel punto le due economie non solo sarebbero comparabili, ma la produttività degli Stati membri dell’UE sarebbe persino leggermente più alta. Naturalmente si tratta di un esperimento che non ha alcuna base scientifica e che può essere utile soltanto a creare una suggestione allettante, oltre a dare il senso dell’importanza di creare investimenti sul settore dell’intelligenza artificiale. Questo è tanto più vero se si guardano i dati contenuti nel report che riguardano l’Unione Europea in relazione alla nuova rivoluzione digitale. Dal 2017, ad esempio, il 73% dei modelli alla base dei sistemi di intelligenza artificiale sono stati sviluppati all’interno degli Stati Uniti, e ben il 61% dei finanziamenti a livello globale in questo settore sono diretti ad aziende e start-up statunitensi. In questo ambito il mercato cinese incide, invece, per il 17% degli investimenti, mentre gli Stati membri dell’Unione Europea attirano complessivamente il solo 6% del volume di finanziamenti nel campo dell’AI. Una situazione che sul medio e lungo periodo potrebbe creare non poche difficoltà a questo settore, ponendo l’economia dell’Unione Europea in una posizione di debolezza rispetto alla concorrenza internazionale. In poche parole le aziende degli Stati membri potrebbero perdere grosse quote di mercato, non essendo pienamente in grado di sfruttare il vantaggio competitivo che l’utilizzo e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sta generando a livello internazionale.
I LIMITI NELLA LEGISLAZIONE EUROPEA
Ad oggi sarebbero circa 75 gli Stati nel mondo, tra cui l’Italia, ad aver varato una qualche forma di normativa o di regolamento sul tema dell’AI. Oltre alle barriere di tipo economico, secondo il Report di Draghi sarebbero proprio le norme europee sulla privacy e sull’intelligenza artificiale (il GDPR e l’AI Act) ad essere tra gli elementi maggiormente legati al rallentamento dello sviluppo in questo settore. Lo stesso Draghi ha parlato di una vera e propria “autodistruzione” per l’economia e per le aziende europee. Il problema sarebbero la complessità e la sovrapposizione tra normative. Nell’Unione Europea, ad oggi, sarebbero circa 100 le leggi legate al settore dell’high tech, mentre ben 270 sono le autorità di regolamentazione che attualmente sono attive nelle reti digitali degli Stati membri. Servirebbe, quindi, un riordino di queste competenze, anche se le resistenze (più che comprensibili), a questo punto, potrebbero arrivare a livello dei singoli Governi, interessati a non perdere porzioni di sovranità in un ambito così delicato e importante per lo sviluppo dell’economia nazionale. Soprattutto se si pensa che la “ricetta Draghi” parla dell’integrazione verticale dell’intelligenza artificiale nell’industria europea, soprattutto in quella dell’automotive, della robotica e della farmaceutica, elementi chiave per l’economia interna di molti grandi Stati europei.