Negli ultimi anni la nostra percezione di sicurezza, in particolare in ambito sanitario, è sicuramente cambiata. L’idea che l’Europa e le nazioni occidentali siano al riparo da grandi epidemie e da stravolgimenti legati alla diffusione di un virus è crollata sotto i colpi dalla pandemia da Covid-19. Ora il compito delle nuove istituzioni europee, le prime elette dopo il periodo pandemico, è sicuramente quello di dare nuovi strumenti ai Paesi membri per migliorare i loro standard sanitari e per evitare che l’incubo del Covid possa ripetersi. Per farlo, però, non si possono abbandonare alcuni principi che devono comunque guidare le politiche sanitarie in ambito comunitario. Tra questi non possono mancare il rispetto dei diritti, la privacy e la libertà dell’individuo.
UN MONDO DIVERSO
Quello che si è presentato ai nostri occhi l’11 marzo 2020, quando l’OMS ha dichiarato il Covid-19 una pandemia mondiale, è un mondo diverso rispetto a quello che avevamo conosciuto. Le distanze sociali, l’impossibilità di uscire di casa e, in moltissimi casi, di lavorare, hanno creato problemi e disparità che ancora oggi si fanno sentire. Quando nel dicembre del 2019 un focolaio si è manifestato nella città cinese di Wuhan, nessuno (anche perché in pochissimi ne erano informati) avrebbe pensato ad una diffusione così capillare. Già nel gennaio del 2020, infatti, i primi casi isolati si sono manifestati in alcuni Stati membri dell’Unione Europea, mentre a fine febbraio è stata l’Italia a segnalare un aumento significativo dei casi, soprattutto nelle regioni settentrionali. Nel momento in cui l’OMS dichiarò “mondiale” la pandemia, tutti i Paesi dell’Unione Europea avevano casi all’interno dei loro confini, che nei mesi successivi continuarono ad aumentare. Stando ai dati disponibili, secondo l’OMS al maggio del 2023 la pandemia da Covid-19 aveva causato all’incirca 7 milioni di decessi. In quello stesso mese l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato la fine dell’emergenza. Naturalmente, i casi non sono spariti e i contagi, portati avanti da sempre nuove varianti, vengono comunque tenuti sotto controllo.
LA RISPOSTA DELL’UNIONE EUROPEA
C’è da considerare che le istituzioni europee hanno cercato di restituire una risposta unitaria così da coinvolgere tutti gli Stati membri nella battaglia contro il Covid-19. A marzo del 2020, infatti, dopo le dichiarazioni dell’OMS, i leader hanno delineato quattro priorità da seguire per orientare al meglio la risposta europea. La prima priorità era naturalmente cercare di limitare la diffusione del virus attraverso tutte quelle politiche che hanno avuto grandissima risonanza, come il distanziamento e il lockdown. Si è puntato poi a garantire la fornitura di attrezzature mediche, strumenti necessari per combattere quella battaglia. Allo stesso modo è stata promossa la ricerca su terapie e vaccini, mentre sono state varate alcune politiche per sostenere l’occupazione, le imprese e l’economia europea.
POLITICHE EUROPEE NELL’OTTICA DELLA RIPRESA
Dopo il periodo più cupo della pandemia si è iniziato a parlare di ripresa e delle politiche di sostegno post Covid-19. In particolare, da parte delle istituzioni europee si è cercato di proseguire lo sforzo comunitario su diversi fronti. In prima battuta sullo sviluppo, la produzione e la diffusione dei vaccini. Poi si è lavorato sui test e sul riconoscimento reciproco dei risultati tra i vari Stati membri, elemento fondamentale per la circolazione delle persone. Quindi, proprio per la riapertura dei transiti, si è insistito sul tracciamento transfrontaliero dei contagi e sulle norme di quarantena, da rinnovare secondo le fasi della pandemia. Infine, si è passati alla realizzazione di certificati digitali interoperabili come il – così conosciuto – “green pass globale”, promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un tema, questo, che approfondiremo in seguito, anche a fronte della posizione assunta dall’Italia nella sua non adesione a questo sistema.
SERVE BUON SENSO, NON IDEOLOGIA
L’Unione Europea e le sue istituzioni, dopo il periodo pandemico e soprattutto in campo sanitario, non possono prescindere da alcuni principi che abbiamo già espresso in apertura di questo articolo. Si tratta della necessità di valorizzare il rispetto dei diritti e della libertà dell’individuo. Il settore sanitario, all’indomani del Covid-19, dovrebbe rinnovarsi in chiave non solo di maggiore efficienza (facendo quindi tesoro dell’esperienza accumulata e delle carenze individuate) ma anche di vicinanza e di sussidiarietà nei confronti dei cittadini. Il servizio sanitario deve essere orientato alla persona e non soltanto alle politiche, ai dati e alle statistiche – siano queste mediche oppure economiche. Salute, diritti e libertà dell’individuo devono correre di pari passo: per questo l’Unione Europea deve puntare a tutelare il diritto alla salute e alla qualità della vita dei suoi cittadini, senza cadere in paradigmi e condizionamenti ideologici che hanno già dimostrato la loro fallacia in occasione della pandemia globale da Covid-19. Un principio deve essere chiaro in questo senso: i diritti fondamentali dell’individuo, tra cui quello alla salute, non possono essere avvolti da preconcetti. Per questo le uniche politiche realmente efficaci in questo senso sono quelle che puntano ad investire sulla qualità e sull’efficientamento della sanità pubblica. Si tratta di investimenti strutturali che possono veramente fare la differenza in una sfida come quella appena superata. L’esperienza degli anni di pandemia non può essere gettata al vento per condizionamenti teorici, al contrario deve necessariamente essere messa a frutto. Oltre agli investimenti serve quindi anche la preparazione ad affrontare minacce per la salute che possono arrivare anche dal di fuori dei confini dell’Unione Europea. Il campo su cui giocare è certamente quello della cooperazione in ambito sanitario e farmacologico, ma sempre senza perdere mai di vista i diritti fondamentali degli individui e le prerogative di ogni singolo Paese membro, che non possono essere violati in nome di nessuna ideologia. Naturalmente, sul medio e lungo periodo serve focalizzare l’attenzione su tutti quegli elementi che possono incidere sul sistema sanitario, come l’abuso di droghe e le dipendenze in genere, fino a promuovere lo sport e l’attività fisica come primo strumento di benessere fisico e mentale. Sul breve periodo, però, serve un’operazione di chiarezza e trasparenza. Per fare finalmente luce su tutti gli errori che sono stati commessi nella gestione della pandemia da Covid-19, sia sul fronte comunitario sia su quello interno dei singoli Stati membri. Serve, ad esempio, analizzare con precisione i dati e arrivare a garantire una forma di giustizia per tutti quei cittadini che hanno subito gravi danni permanenti dopo la vaccinazione contro il Covid-19. Si tratta di un’operazione di civiltà, ma anche di responsabilità da parte di chi ha preso delle decisioni senza tenere conto fino in fondo dei diritti e delle libertà dei cittadini stessi.
NESSUNO SPAZIO PER IL GREEN PASS GLOBALE
Sempre nella stessa ottica non può quindi esserci spazio per il cosiddetto “green pass globale” proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo sistema digitale è stato proposto dall’OMS il 1° luglio 2023 per proteggere i cittadini di tutto il mondo dalle minacce sanitarie future. Si tratta della digitalizzazione (anche in forma estesa e con la raccolta di più dati) della vecchia Carta gialla, nata addirittura nel 1933 in Olanda e che venne adottata dall’OMS nel 1951, utile a certificare la vaccinazione per alcune malattie. Si tratta di una procedura di verifica globale dei documenti sanitari, con un’attenzione speciale ai Paesi in via di sviluppo. Un’idea che prende le mosse dall’accordo del 30 novembre 2022 tra il commissario europeo Kyriakides e il Direttore dell’OMS Tedros per rafforzare la cooperazione strategica sulle questioni sanitarie globali. Su questa linea il Consiglio, il 27 giugno del 2023, ha adottato una raccomandazione che incoraggia i Paesi membri dell’Unione Europea ad aderire al sistema dell’OMS. Si tratterebbe, stando a quanto assicurato dalla stessa OMS, di uno strumento che non mette a rischio la privacy e i dati sanitari personali. Nonostante questo – è doveroso sottolinearlo – l’adesione al green pass globale è volontaria per gli Stati. Una prospettiva, questa, che l’Italia con il Governo Meloni ha deciso di non seguire, sottolineando già a febbraio 2023 che non adotterà il green pass globale. Questo in linea con l’idea che sul tema sanitario debba prevalere la libertà e il rispetto dei diritti individuali, tra i quali non può mancare la sicurezza dei propri dati personali e sanitari. Materia, questa, che non può prescindere dal controllo degli Stati, soprattutto se ad essa non corrisponde una vera politica di sviluppo dei sistemi sanitari.
La sanità europea ha bisogno di diritti, libertà e privacy
Salute - Settembre 18, 2024