Le elezioni negli Stati Uniti sono state un evento dirompente e le prime settimane dopo l’election day hanno riservato diverse sorprese, soprattutto sul fronte dei nomi e delle nomine annunciate da Trump. Se la posizione del miliardario Elon Musk sembra ormai chiara (sarà infatti lui a dirigere il DOGE, Department of Government Efficiency), gli altri dipartimenti e posizioni chiave hanno fatto non poco parlare, e probabilmente continueranno a suscitare polemiche, fino a quando il neo Presidente non porrà fine al dibattito confermando o modificando il suo nuovo Gabinetto. C’è da dire che rispetto a quanto fatto durante il suo primo mandato, Trump sembra volersi circondare di tutt’altro entourage. Se, infatti, dopo l’elezione vinta contro Clinton si era circondato di personalità di netto stampo Repubblicano, ma comunque ben presenti e molto interne al Governo, in questo caso sembra invece puntare tutto sui suoi fedelissimi, anche a rischio di inimicarsi una parte del GOP. Ma da qui all’insediamento la strada è ancora lunga ed è costituita da diversi appuntamenti istituzionali che, sicuramente, avranno i loro strascichi sia sulla politica americana sia su quella europea, soprattutto con l’Unione alle prese con la formazione della squadra della Von der Leyen.
La parola ai grandi elettori
Nel sistema statunitense esistono delle figure molto interessanti, chiamate transition team, che lavorano alacremente al passaggio di consegne tra l’amministrazione uscente e quella che dovrà entrare in carica. Il tutto in una sequela di passaggi finemente normati che porteranno il nuovo Presidente Trump a sedere per la seconda volta nello Studio ovale della Casa Bianca. Il primo dei grandi veri appuntamenti politico-amministrativi – c’è da ricordare, infatti, che quanto stiamo leggendo sui giornali in termini di nomine non riguarda passaggi formali, ma solo speculazioni politiche – è quello del voto dei grandi elettori. Come da prassi si svolgerà nel primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre, che quest’anno è il 17 dicembre. In quella giornata gli elettori del collegio elettorale si incontrano nelle varie capitali e votano effettivamente per il presidente e il vicepresidente, tenendo conto dell’esito del voto nei singoli Stati. Il meccanismo è normato dalla Costituzione degli Stati Uniti, che non impedisce comunque ai grandi elettori di votare chiunque. Ad ogni modo sono 32 gli stati, compreso il Distretto di Columbia, ad aver approvato delle leggi che limitano la possibilità che si verifichino questi casi. In particolare, è la stessa Corte Suprema ad aver stabilito recentemente, nel 2020, che la Costituzione non impedisce agli Stati di sostituire gli elettori identificati come “infedeli”. La possibilità che il voto popolare non venga ratificato dai grandi elettori è quindi non solo remota, ma anche disinnescata dal sistema di leggi interne ai singoli Stati. I voti dei grandi elettori vengono, quindi, inviati al Presidente del Senato e all’archivio dello Stato, il tutto entro il quarto mercoledì di dicembre. Poi, solitamente entro il 3 gennaio, i voti vengono trasferiti al Congresso che dovrà certificare il voto.
Il ruolo del Congresso
In questo caso possono esserci i primi problemi sul conteggio dei voti. Infatti, il 6 gennaio, quando il Congresso si riunisce in sessione congiunta con l’obiettivo di contare e certificare i voti, possono essere fatte delle obiezioni. Il vicepresidente in carica, nella veste di Presidente del Senato, legge i voti ad alta voce, mentre i membri del Congresso in quel momento possono opporsi ad uno o a tutti i conteggi di uno Stato.
In quel caso le obiezioni vengono presentate per iscritto e soprattutto firmate da un membro di entrambe le Camere. Queste poi dovranno riunirsi, esaminare l’eccezione e votare se invalidare i voti in questione oppure no. Una procedura delicata che, qualora ci fossero delle sorprese – che comunque non metterebbero a rischio l’elezione di Trump – potrebbe comunque creare dissapori e manifestazioni pubbliche. È in quella data, infatti, che nel 2021 andò in scena il famoso assalto a Capitol Hill.
L’entrata in carica
Tutte queste procedure si devono concludere entro il 20 gennaio, l’Inauguration Day. In quella data, infatti, il nuovo Presidente e il suo vicepresidente si insediano con la cerimonia di giuramento. Un momento molto solenne e amato dagli Americani, che da diversi Stati accorrono per assistere assiepati lungo il National Mall. Da quel momento in poi la palla passa definitivamente nelle mani di The Donald, che dovrà presentare l’intera squadra che andrà a comporre il suo Gabinetto. Alcune di queste nomine sono state già annunciate in questi giorni e il dibattito che ne sta scaturendo, andando a riempire anche le prime pagine della stampa estera, fa pensare ad una presa di posizione forte del tycoon, pronto a far valere il suo peso e la sua forza conquistata in un’elezione vinta contro tutti, anche contro una parte del suo stesso partito.