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Le ombre persistenti della transizione verde

Energia - Agosto 12, 2024

Kristiāns Podnieks ha pubblicato un rapporto del luglio 2024 per il Partito ECR intitolato “Bilanciare ambizione e realtà”, in cui esamina le sfide della cosiddetta transizione verde dell’Unione Europea.
Il Green Deal della signora Von der Leyen, che prevede di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, è fattibile?
E quali sono i suoi impatti presenti e futuri?
Abbiamo già subito alcune conseguenze.
I prezzi dell’energia hanno subito un’impennata ben prima della guerra tra Russia e Ucraina; la situazione è ancora peggiore per gli Stati membri che non vogliono avere l’energia nucleare nel loro mix.
Il secondo sistema di scambio europeo (ETS2), che prevede che le aziende paghino per i combustibili fossili che utilizzano, costerà agli automobilisti finali 50 centesimi in più al litro a partire dal 2031.
Nel settore primario, la “Legge sul ripristino della natura” sembra distruggere anziché ripristinare.
Non c’è da stupirsi che il sostegno dell’opinione pubblica sia molto più basso e variabile rispetto a quanto dichiarato dai funzionari della Commissione Europea.
In particolare, il futuro divieto di circolazione per le nuove auto a benzina e diesel “Fit for 55” è una misura molto impopolare.
A fronte di questo scenario, i difensori della Transizione Verde evidenziano il lato positivo della strategia: un presunto impulso alle tecnologie dell’industria pulita, etichettate come “Net-Zero” (solare, eolico, batterie/stoccaggio, pompe di calore, elettrolizzatori, biogas/biometano, cattura e stoccaggio del carbonio e tecnologie di rete).
Tuttavia, sette Stati membri si sono opposti a ulteriori fondi UE per finanziarle.
Inoltre, questa strategia tecnologicamente non neutrale ricorda il fallimento dell’economia di pianificazione sovietica, in contrapposizione a un approccio più libero basato sul mercato e incentrato su creatività ed efficienza.
D’altra parte, le tecnologie a zero emissioni dipendono in larga misura da componenti critici, come le batterie e le materie prime, entrambi provenienti principalmente dalla Cina.
La legge sulle materie prime critiche limita l’acquisto annuale di materie prime strategiche per paese a un massimo del 65%; ma anche in questo caso, questa politica limitante non ha un corrispondente lato positivo, come gli incentivi per l’estrazione e la produzione nazionale.
La relazione del partito Podnieks-ECR include un caso di studio sull’impatto del Green Deal sul settore automobilistico dell’UE.
Fortunatamente, il divieto “Fit for 55” sui veicoli a combustione prevede una clausola di revisione nel 2026 a favore del Parlamento.
Il Primo Ministro italiano Giorgia Meloni considera questa metodologia “una follia ideologica, che va assolutamente corretta”.
Sarebbe più sensato concentrarsi sui veicoli più vecchi, che producono maggiori emissioni.
Con i motori a combustione più recenti, le emissioni diminuiscono drasticamente ogni anno.
Perché allora vietarli?
Inoltre, i veicoli elettrici sono costosi o addirittura inaccessibili per gran parte del mercato dei consumatori, quindi gli automobilisti tendono a mantenere le loro vecchie automobili, aumentando così le emissioni.
Esattamente il contrario di ciò che la Commissione si prefigge.
Inoltre, nonostante i progressi nella tecnologia delle batterie, è diffusa la convinzione che i modelli futuri saranno superiori, il che scoraggia ulteriormente gli acquisti attuali.
Nel maggio 2023, le vendite di veicoli elettrici rappresentavano il 13,8% del mercato, mentre un anno dopo la percentuale è scesa al 12,5%.
I veicoli elettrici cinesi sono più economici grazie ai finanziamenti statali; nel breve termine, ciò è favorevole ai consumatori, ma per contrastare la concorrenza sleale, la Commissione Europea potrebbe aumentare la tariffa del 10%, riducendo così il vantaggio per gli acquirenti finali dell’Unione. Un ulteriore ostacolo per gli acquirenti di veicoli elettrici è la scarsa disponibilità di punti di ricarica.
Anche le previsioni della Commissione Europea sembrano poco ambiziose rispetto alla domanda potenziale.
E, cosa ancora peggiore, oltre il 60% dei punti di ricarica dell’UE è concentrato in soli tre Stati membri (Paesi Bassi con il 23%, Germania e Francia con il 19% ciascuno); ciò dimostra non solo un divario socio-economico nel piano della signora Von der Leyen, ma anche un divario territoriale.
Infine, i finanziamenti privati saranno disponibili solo se i progetti di sviluppo garantiranno la sicurezza dell’investimento, un punto interrogativo significativo per l’impegnativa impresa del Green Deal.
Fonte dell’immagine: Business Insider