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Sarà l’agricoltura il motore della sovranità alimentare europea

Costruire un’Europa conservatrice - Agosto 27, 2024

Nelle ultime settimane è stato pubblicato uno studio dell’ECR Party dal titolo Balancing Ambition and Reality. A Sober Examination of Challenges in the EU’s Green Transition. Questa ricerca si pone lo scopo di riportare il dibattito sulla transizione verde all’interno di un percorso realistico e oggettivo basato sui fatti e sulla realtà politica, economica e industriale dell’Unione Europea. Un percorso, questo, che non può in nessun caso prescindere dagli interessi del settore agricolo e dalle aspettative dei tanti agricoltori che formano il tessuto economico dell’UE. La “sobrietà” dell’analisi richiesta dallo studio è proprio quello che serve per affrontare i tanti problemi che da decenni questo settore si trascina. GLI AGRICOLTORI COME CUSTODI
Quello che deve finalmente entrare all’interno delle cancellerie e delle Istituzioni europee è il concetto che i veri custodi del nostro ambiente e della sovranità alimentare non sono i politici o i legislatori, bensì gli agricoltori dell’Unione Europea. Più di altri settori è proprio l’agricoltura il pilastro su cui fondare la futura sovranità alimentare europea, al riparo dalle crisi climatiche e dalle fluttuazioni dei mercati internazionali. Purtroppo, tra i nemici di questo onorevole obiettivo sembrerebbe stagliarsi proprio il “Green Deal” europeo, che potrebbe prendere di mira proprio il settore agricolo. Si nega il ruolo fondamentale degli agricoltori nella conservazione del territorio, nel garantire la qualità nelle produzioni e nel valorizzare cultura e tradizioni nelle aree rurali. Portando avanti il concetto, purtroppo fin troppo radicato in passato nelle Istituzioni Europee, degli agricoltori visti come un problema. La speranza, invece, è che questo paradigma si ribalti, con la consapevolezza di avere davanti delle grandi risorse nella lotta alla crisi climatica. Il legame con la terra deve essere confermato e valorizzato assieme all’agricoltura, poiché tutelare le eccellenze e le produzioni porta necessariamente all’accrescimento del patrimonio culturale e al presidio dei territori, tutte funzioni queste che le politiche dell’Unione Europea devono essere pronte a valorizzare e non ad affossare.
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This research aims to bring the debate on the green transition back within a realistic and objective path, based on facts and on the political, economic and industrial reality of the European Union.
A path that can under no circumstances disregard the interests of the agricultural sector and the expectations of the many farmers that make up the economic fabric of the European Union.
The “sobriety” of the analysis in the study is precisely what is needed to address the many problems that this sector has been dragging along for decades.
FARMERS AS CUSTODIANS What must finally reach the chancelleries and the European institutions is the notion that the true guardians of our environment and food sovereignty are not politicians or legislators, but rather the farmers of the European Union.
More than any other sector, it is agriculture that is the pillar on which to base a future European food sovereignty sheltered from climate crises and international market fluctuations.
Unfortunately, among the enemies of this honourable objective, would seem to be also the European “Green Deal” which could target precisely the agricultural sector.
It denies the fundamental role of farmers in preserving the land, a role that ensures quality in production and enhances culture and traditions in rural areas.
Carrying forward a concept, unfortunately too deeply rooted in the European institutions, that sees farmers as a problem.
The hope instead is that this paradigm will be overturned, with the awareness that we have great resources in front of us in the fight against the climate crisis.
The link with the land must be confirmed and enhanced together with agriculture, as protecting excellence and production necessarily leads to the growth of the cultural heritage and the protection of the territories: all functions that the European Union’s policies must be ready to enhance and not to weaken.
A COMMON AGRICULTURAL POLICY TO BE REVIEWED If we really want to reform the sector, we must have the courage to get our hands on the Common Agricultural Policy (CAP) with the intention of removing all those regulations that aim at the gradual reduction of cultivated areas and that directly affect farmers’ income.
At the same time, Member States must be put in a position to influence agricultural policies, e.g. by increasing the EU limits set for state aid to the sector, as well as introducing a debt moratorium to give farmers breathing space.
At the same time, in the same vein, it is necessary to revise the so-called “Nature Restoration” rule, which stipulates, as a general objective, that Member States should take restoration measures in at least 20 per cent of the EU’s land areas.
A revision of this objective is necessary to avoid further penalising agriculture and farming.
SYNTHETIC IS NOT NATURAL A crucial point is the protection of the concept of “natural” as a shield against the introduction of synthetic elements in the production and nutrition of EU citizens.
The battle against the production and marketing of synthetic food, especially meat, is a battle that must be continued.
With it, however – and the aim is for these two struggles to continue in unison – animal welfare disciplines must be improved and extended, especially with regard to livestock farming.
LABELS AND MARKET RECIPROCITY A strong stop must be given to all regulations that, in one way or another, penalise the excellence of our agriculture. UNA POLITICA AGRICOLA COMUNE DA RIVEDERE
In prima battuta, se si vuole veramente riformare il settore, bisogna avere il coraggio di mettere le mani sulla Politica Agricola Comune (PAC) con l’intento di rimuovere tutte quelle norme che puntano alla riduzione graduale delle superfici coltivabili. Questo, infatti, incide direttamente sul reddito degli agricoltori stessi. Allo stesso tempo gli Stati membri devono essere messi nella condizione di poter incidere sulle politiche agricole, ad esempio aumentando il limite previsto dall’Unione Europea per gli aiuti di stato al settore, oltre ad introdurre una moratoria sui debiti che dia respiro agli agricoltori. Allo stesso tempo, sempre nello stesso ordine di idee, è necessario rivedere la norma detta del “ripristino della natura”, che prevede come obiettivo generale che gli Stati membri adottino misure di ripristino in almeno il 20% delle aree terrestri dell’UE. Una revisione di questo obiettivo è necessaria per evitare di penalizzare ulteriormente l’agricoltura e l’allevamento. SINTETICO NON È NATURALE
Un punto cruciale è rappresentato dalla protezione del concetto di “naturale” come scudo all’introduzione di elementi sintetici nelle produzioni e nell’alimentazione dei cittadini dell’Unione Europea. Quella contro la produzione e la commercializzazione di cibi sintetici, soprattutto per quanto riguarda le carni, è una battaglia che deve essere proseguita. Con essa però – e l’obiettivo è che queste due lotte proseguano all’unisono – devono essere migliorate e allargate le discipline sul benessere animale, soprattutto per quanto riguarda gli allevamenti. ETICHETTE E RECIPROCITÀ DEI MERCATI
Un forte stop va invece dato a tutte quelle normative che, in un modo o nell’altro, penalizzano le eccellenze della nostra agricoltura. L’esempio più concreto sono il “Nutriscore” e l’adozione obbligatoria dei sistemi di etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari. Tra i casi più eclatanti resta quello riguardante il settore vinicolo, con la volontà che vengano etichettate le bottiglie con l’indicazione che il consumo dei prodotti della filiera sia nocivo per la salute. È un aspetto che richiede prudenza, avendo a che fare con un comparto che ogni anno incide fortemente sulle economie degli Stati membri e che dà lavoro a tantissimi professionisti in tutta l’Unione Europea. Infine, sempre sul fronte delle norme, serve che venga attuato un principio semplice e importantissimo: quello di reciprocità. L’apertura del nostro mercato interno a produzioni che non provengono dai Paesi membri può essere accettata, ma soltanto se queste rispettano gli standard sociali e ambientali che vengono richiesti ai nostri produttori.