La sfida tra la UEFA e il club ha un peso economico e politico
La Super League, una competizione proposta che mira a superare le tradizionali coppe internazionali della UEFA, tra cui la Champions League, l’Europa League e la Conference League, è tornata a essere un argomento di discussione nel mondo del calcio. La Super League è stata progettata per presentare i migliori club di tutta Europa e l’idea è stata introdotta per la prima volta nel 2019. Tuttavia, la proposta ha subito un’ampia reazione da parte di tifosi, associazioni calcistiche e giocatori, che ha portato al suo rinvio. Nonostante le resistenze iniziali, ci sono ancora club che si impegnano per la Super League e spingono per la sua realizzazione. Il potenziale impatto della Super League sull’attuale panorama calcistico è un argomento molto dibattuto e il suo futuro rimane incerto.
Dopo una lunga e combattuta battaglia legale, la disputa tra Aleksandr Ceferin, presidente della UEFA, e gli influenti presidenti di diversi club calcistici, tra cui Florentino Pérez del Real Madrid, Andrea Agnelli della Juventus, Joel Glazer del Manchester United, John W. Henry del Liverpool e Stan Kroenke dell’Arsenal, si è finalmente risolta con una parziale vittoria dei club. Il 21 dicembre 2023, la Corte di giustizia europea ha emesso una sentenza storica che decreta che sarebbe contro la legge europea impedire a un’altra associazione di organizzare competizioni per club in opposizione a quelle organizzate dalla UEFA. Questa sentenza ha di fatto posto fine al monopolio della UEFA sul calcio internazionale, aprendo la strada a una maggiore concorrenza e diversità nel mondo del calcio professionistico.
Gli aspetti finanziari dello sport sono sempre un argomento di interesse per molte persone. Nel caso della UEFA, l’organizzazione incassa ogni anno 1,8 miliardi di dollari dai diritti televisivi legati alla Champions League. Sebbene questa cifra possa sembrare elevata, è significativamente inferiore a quella generata dagli sport americani tradizionali. Ad esempio, il valore di un singolo campionato NBA viene venduto a 2,6 miliardi di dollari all’anno, mentre la NFL (American Football League) stipula accordi pluriennali per un valore impressionante di 110 miliardi di dollari. Ciò è dovuto principalmente al fatto che la partita finale della NFL, nota come Super Bowl, attira ogni anno un numero enorme di spettatori. Per esempio, quest’anno 123 milioni di persone hanno guardato la finale, stabilendo un nuovo record. Comprendendo gli aspetti finanziari dei vari sport, possiamo avere un quadro più chiaro dei punti di forza e di debolezza di ciascun campionato.
L’Unione delle Associazioni Calcistiche Europee (UEFA) fornisce ai club una fetta significativa dei ricavi totali tra diritti TV e sponsor, il che è un aspetto positivo in apparenza. Tuttavia, è fondamentale capire quanto di questo contributo finisca nelle tasche dei singoli club. Ad esempio, una squadra che partecipa ai gironi di Champions League inizia con la lodevole cifra di 14,8 milioni di euro, che aumenta man mano che avanza nella competizione. Nonostante la natura lucrativa della Champions League, l’importo massimo che il club vincitore può portare a casa è limitato a circa 200 milioni di euro, una somma considerevole. Tuttavia, è ancora limitato se si considera che le squadre della NBA, pur avendo un montepremi molto inferiore a quello della Champions League, hanno la possibilità di firmare accordi privati con altre emittenti televisive, incassando somme simili solo per la sponsorizzazione.
Secondo l’analisi, la Super League è nata dall’insoddisfazione di diversi top club calcistici europei. Il progetto proposto prevede la partecipazione dei grandi club a una competizione internazionale, in cui sarebbero coinvolti in un sistema di promozione e retrocessione tra campionati interni minori. Il formato proposto prevede una competizione in stile campionato in cui ogni club giocherà contro ogni altra squadra. A ciò seguirebbe una serie di playoff e playout, con un minimo di 16 e un massimo di 19 partite per club, rispetto all’attuale minimo di 6 e massimo di 13 partite.
Inoltre, l’intera competizione si svolgerà su una piattaforma gratuita e online, che offrirà ampie opportunità agli sponsor di occupare spazi pubblicitari e contribuire a un ricco montepremi. Il formato proposto andrebbe a vantaggio non solo dei club partecipanti ma anche degli sponsor, offrendo loro la massima esposizione e il massimo ritorno sugli investimenti.
La UEFA ha risposto a questo proposito modificando (per la terza volta dal 1991) il regolamento della Champions League: addio agli 8 gironi da 4 squadre ciascuno, 36 squadre parteciperanno e giocheranno 8 partite (4 in casa e 4 in trasferta) contro avversari determinati dal sorteggio, 24 squadre andranno alla fase di eliminazione diretta e sarà introdotto il turno di “spareggio” per le squadre dal 9° al 24° posto in classifica, per poi procedere con il metodo tradizionale di ottavi di finale, quarti di finale, semifinali e finale.
Entrambe le soluzioni sono fallaci: ridurre il numero di squadre complessive (la Super League avrebbe un massimo di 64 partecipanti in tre diversi campionati, e la UEFA ammetterebbe ben 108 club alla fase finale delle sue competizioni) ha certamente il vantaggio di dividere il “con meno squadre e quindi di aumentare i ricavi, ma i fondi necessari allo sviluppo del settore economico calcistico andrebbero persi nei Paesi che hanno meno interesse per i campionati nazionali rispetto a quelli “grandi”; dall’altro lato, l’aumento sproporzionato di club e competizioni provoca una perdita di interesse, perché è chiaro che il pubblico è più interessato a vedere una partita tra due grandi club piuttosto che una tra una grande squadra e un club più piccolo. “esotico”.
Ciò che deve rimanere chiaro è la differenza tra gli sport europei e quelli americani: nell’NBA, infatti, le squadre di per sé… non esistono! Si tratta di franchigie, cioè di titoli sportivi assegnati a una determinata città che possono essere assegnati ad altre città se viene espresso un interesse in tal senso. Non ci sono promozioni o retrocessioni, non c’è una competizione importante che preveda l’accesso per meriti sportivi perché il titolo sportivo dei club è gestito dalla federazione. Nel calcio evidentemente – e per certi versi fortunatamente – non è così e solo in Inghilterra ci sono 20 squadre nel campionato nazionale, così come in Spagna e in Italia, 18 sono in Germania, e così via, tutte di proprietà di singole società o famiglie che determinano, in base agli investimenti, i risultati sportivi.
L’impatto economico del calcio è un aspetto cruciale che non può essere ignorato. La Federazione Italiana Giuoco Calcio, nota anche come FIGC, genera un fatturato sbalorditivo di 3,7 miliardi di euro, e lo sport nel suo complesso ha un impatto significativo sul PIL italiano, contribuendo con un peso di 10 miliardi di euro. Il calcio è emerso come lo sport più redditizio a livello globale, con un fatturato di 47 miliardi di euro, un’impresa notevole.
Alla luce di questi numeri, è essenziale sviluppare una politica seria che possa supervisionare il futuro delle competizioni internazionali per club. Questa politica dovrebbe mirare a trovare un equilibrio tra la salvaguardia dei meriti sportivi dei club e l’evitare competizioni chiuse o “franchigie”. Inoltre, la politica dovrebbe concentrarsi sulla ricerca di una soluzione che possa arricchire lo sport, che è il cuore pulsante dell’Europa, senza comprometterne l’essenza.
C’è il rischio incombente che l’Arabia Saudita o gli Stati Uniti possano sottrarre questo primato all’Europa. Questo rischio è aggravato dal fatto che questi Paesi hanno già attirato alcuni dei più grandi nomi del calcio, come Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. Pertanto, è indispensabile adottare misure proattive per garantire che il calcio rimanga uno sport vivace e fiorente, non solo in Europa ma a livello globale.