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Ucraina-Russia: cosa ne sarà del conflitto dopo il 20 gennaio?

Il prossimo 20 gennaio Donald Trump giurerà sulla Costituzione americana e diverrà il quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti. È naturale che in quell’occasione lo sguardo del mondo intero sia rivolto alla Casa Bianca, soprattutto per le esternazioni e le promesse fatte dal tycoon in campagna elettorale. Se Trump mettesse in pratica anche solo una parte di quanto affermato, questo suo secondo mandato sarebbe quantomeno interessante da osservare. In primis però, dall’Europa, da Kiev e da Mosca, l’attenzione è sul ruolo che il neo Presidente americano potrebbe giocare o meno sul negoziato verso la fine del conflitto tra Russia e Ucraina. Un punto di forza della retorica trumpiana, con il tycoon che in più occasioni si è detto sicuro di poter risolvere una situazione – che sotto forma di guerra aperta va avanti dal 2022 – in pochi giorni e, probabilmente, con soli pochi incontri bilaterali. Che a Trump non manchi la forza quantomeno di tentare questo approccio è sicuro. Bisognerà però osservare quali risultati potrà raggiungere e se questi faranno veramente gli interessi del popolo ucraino, o se avranno il solo scopo di allentare la tensione e di liberare gli USA dal peso economico e sociale di questo conflitto e di proteggere l’Europa.

IL NEGOZIATO SECONDO MOSCA
Se da un lato il Ministro Lavrov ha dichiarato che la Russia è stata sempre aperta ad un negoziato, dall’altro è più che evidente che qualsiasi passo verso lo stop alle ostilità potrà essere accettato da Mosca solo trovandosi in una posizione di forza. Possibilmente con molte di quelle che sono state definite “cause profonde” del conflitto che siano state eliminate. L’importante per Mosca, al momento, non sarebbe un cessate il fuoco e la cristallizzazione di un conflitto che potrebbe riaprirsi tra qualche tempo, bensì una vera pace che sia inviolabile e che venga siglata alle condizioni del Cremlino. A questo proposito, una qualsiasi discussione che si aprisse con Trump nel mese di gennaio vedrebbe gli emissari di Putin dialogare, ma partendo da posizioni di forza che dovranno essere acquisite. Sicuramente, parte di questa strategia riguarda il gas e i problemi che si potrebbero presentare nei prossimi mesi con la scadenza dell’accordo per il transito del gas russo sul territorio ucraino. Un elemento di pressione non da poco, soprattutto per alcune cancellerie europee. Anche per questo la posizione di Trump trapelata in queste settimane (anche attraverso un’intervista rilasciata a Time il 12 dicembre scorso), che vedrebbe un congelamento immediato delle ostilità sulla linea d’ingaggio e, quindi, una stabilizzazione dell’attuale fronte del conflitto, non sarebbe ben accetta da Mosca, perché lascerebbe troppa incertezza sul futuro della regione, consegnando poi all’Europa il peso di sostenere un eventuale nuovo conflitto. L’opportunità che il Cremlino vede in questo momento è, sulla spinta della nuova amministrazione americana, che si possa arrivare ad una pace che assegni in via definitiva i territori ucraini occupati alla Russia. Le altre ipotesi al vaglio, come ad esempio l’istituzione di una forza di interposizione europea oppure la sospensione ventennale dell’adesione dell’Ucraina alla NATO, non sarebbero sufficienti per far sedere Putin al tavolo della trattativa.

IL RUOLO DELLA NATO
Vista anche la ripresa delle controversie sul gas, con lo stop al transito in Ucraina del gas russo con la fine dell’accordo del 2019, il negoziato che Donald Trump si appresta ad aprire sembra partire su basi tutt’altro che solide. Una missione piuttosto difficile, soprattutto perché il terreno su cui far incontrare le parti risulta molto instabile e fortemente legato alla situazione internazionale oltre che a quella sul campo. Naturalmente, sul tavolo dovrà essere posto il tema della deterrenza, soprattutto per l’Unione Europea. Basti pensare che il Ministro russo Lavrov in queste ultime settimane è tornato sulla questione della dislocazione di altri missili che guardano ad ovest, oltre al ricorso ai nuovissimi missili balistici di ultima generazione chiamati Oreshnik. Questo rinnovato interesse per il posizionamento di unità missilistiche va infatti inserito in un altro tema che potrebbe pesare sul negoziato immaginato da Donald Trump: la scadenza, prevista per il 2026, del Trattato New Star per la riduzione delle armi nucleari. Proprio su questo punto, infatti, è concentrata l’attenzione della NATO, che guarda al prossimo negoziato per il rinnovo con aspettative tutt’altro che certe. Tanto che le truppe NATO di stanza in Europa sono state spostate verso il confine orientale, elemento di pressione ulteriore sul negoziato stesso e sull’andamento del conflitto tra Russia e Ucraina. Forse si tratta di una mossa studiata in relazione alle richieste avanzate fin qui dal tycoon, che ha minacciato di chiedere ai componenti dell’Alleanza Atlantica un cospicuo aumento delle loro spese militari. Un incremento che si potrebbe aggirare attorno al valore del 5% del PIL. Di rimando, dal Segretario generale Nato, Mark Rutte, la controproposta si è attestata sul valore del 3% massimo del PIL, in ogni caso un vero e proprio salasso per le economie di molti Paesi europei. Tale controproposta da parte di Rutte lascia però spazio ad una riflessione. Non si tratta, infatti, di una chiusura all’incremento delle spese militari, ma bensì solo di un ridimensionamento rispetto alle aspettative USA. È forse questo il segno che in Europa sono in pochi a credere nella buona riuscita in tempi brevi di un negoziato mediato da Trump?