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Ucraina-Russia: si torna al clima di “guerra del gas”

Energia - Gennaio 21, 2025

Torna prepotente sulla scena internazionale lo spettro della guerra del gas russo. In questo frangente del conflitto tra Russia e Ucraina, l’attenzione di molte cancellerie europee nelle ultime settimane si è concentrata sul 31 dicembre 2024, giorno in cui è scaduto l’accordo quinquennale sul metano tra Kiev e Mosca. L’accordo venne firmato per la prima volta nel 2009 tra la russa Gazprom e l’ucraina Naftogaz, poi rinnovato nel 2019 quando era già a rischio di venire annullato. In quel frangente fu l’Unione Europea a spendersi per il rinnovo, ma con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia la situazione è mutata. Basti ricordare il monito lanciato allora da Mario Draghi: “Cosa preferiamo? La pace o stare tranquilli con il termosifone acceso?”. Il contratto, in ogni caso, ha resistito persino al conflitto, ma ora il Presidente ucraino Zelensky si sarebbe detto non disponibile ad aprire una nuova trattativa con Putin per arrivare ad un rinnovo. Questo soprattutto perché non vuole che i proventi di Gazprom continuino ad alimentare la macchina bellica russa. Tutto ciò in attesa anche del 20 gennaio prossimo, quando avverrà l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Il tycoon, infatti, ha promesso di imprimere in poco tempo una svolta al conflitto, arrivando ad un cessate il fuoco e probabilmente ad una stabilizzazione della situazione. Sicuramente, sul tavolo della trattativa ora la questione del gas assumerà maggiore importanza.

LE RIPERCUSSIONI IN EUROPA
L’Unione Europea, e in particolare i Paesi membri più legati all’importazione di gas russo, probabilmente subiranno delle ripercussioni derivanti da questo stop al transito in Ucraina. Naturalmente l’accordo ha resistito fino ad oggi perché per la Russia si tratta di un cospicuo introito di denaro, mentre per l’Ucraina in questo modo non si sono esacerbati i contrasti con le cancellerie europee, stabilizzando una parte del flusso di denaro e aiuti che hanno permesso a Kiev di resistere fino ad oggi. Inoltre, non si può negare che la rete ucraina che consente il passaggio di gas fino ad oggi è stata risparmiata dai bombardamenti. Si tratta di un’importante fascia del territorio che, al momento dello stop al transito del gas, potrebbe entrare nel mirino di Mosca. Lo stop al transito avrà ripercussioni sulle forniture di diversi Paesi (non ultima l’Italia), nonostante a partire dal 2022, con l’aggressione di Mosca all’Ucraina, l’importazione di gas dalla Russia sia calata notevolmente. Con il conflitto, infatti, le forniture russe verso l’Unione Europea sono andate dal 40% a meno del 10%. Ora con questo nuovo stop ci sarà un’ulteriore riduzione del 5% sull’import europeo. Ciononostante, per alcuni Paesi come l’Ungheria, la Slovacchia e l’Austria, le cui forniture dipendono in larghissima parte dal Cremlino, la situazione potrebbe risultare particolarmente complessa. In questi casi l’aumento dei costi si farà di certo sentire sulle bollette e quindi sulle tasche dei cittadini. Un problema che interesserà anche chi non si rifornisce più – o lo fa in minima parte – del gas di Mosca, a causa delle possibili speculazioni che si potrebbero verificare sul mercato dell’energia nei prossimi mesi.

I NUMERI DEL GAS RUSSO
Partendo dallo scenario in cui si colloca questo nuovo momento della guerra del gas, va ricordato che prima del febbraio 2022 – mese in cui la Russia aggredì l’Ucraina – l’import di gas da Mosca rappresentava circa il 40% del fabbisogno dell’Unione Europea. Le misure di contenimento dell’import dalla Russia, legate alla decisione dei Paesi membri di limitare la loro dipendenza da Mosca, anche in chiave di sostegno all’Ucraina, hanno fatto sì che nel 2023 il gas acquistato rappresentasse solo l’8% del fabbisogno. Ad oggi però le riserve di gas a livello europeo sono scese più velocemente rispetto allo scorso anno. Sempre da Bloomberg viene riferito il dato del 75% delle riserve attualmente disponibili, a fronte dell’87% nello stesso periodo dello scorso anno. Una convergenza dovuta soprattutto alle temperature più rigide che stanno colpendo l’Europa, ma che diventa un fattore dirimente per la strategia energetica dei Paesi membri dell’Unione Europea. Sono infatti i dati forniti da Eurostat a rendere il quadro attuale, secondo cui il gas naturale importato dalla Russia in Europa è stato inferiore del 54% rispetto al dato del primo trimestre del 2021. Nonostante ciò, nel terzo trimestre 2024 le importazioni in Europa erano ancora al 20%, con un costo medio in salita dovuto principalmente all’incertezza del mercato. Per far fronte alla chiusura del transito attraverso l’Ucraina, l’Unione Europea si troverà a dover affrontare le necessità di alcuni Paesi e quindi ad aumentare la quota di gas proveniente dal gasdotto norvegese, oppure dal Gnl (Gas naturale liquefatto) statunitense. Comunque, a febbraio si attende una nuova strategia nell’ottica di ridurre la dipendenza da Mosca da parte dell’Unione Europea. Un lavoro iniziato nel 2022 e che per l’Italia, ad esempio, ha iniziato a dare alcuni frutti. Prima del conflitto in Ucraina, infatti, l’Italia importava circa il 40% del suo fabbisogno di gas proprio dalla Russia, mentre nel 2023 si è arrivati al 5% dei consumi. Un risultato raggiunto solo grazie alle politiche di diversificazione delle forniture avviate con il Governo Draghi e proseguite con la premier Meloni. Lo stop al transito di gas in Ucraina potrebbe però avere comunque delle conseguenze anche in Italia, dato che nel 2024 l’import si è attestato a circa il 7%, ma con la piena operatività del rigassificatore di Ravenna questo dato dovrebbe essere destinato a diminuire sensibilmente, con il Gnl che attualmente rappresenta circa il 25% del consumo di gas in Italia.

LA RUSSIA, IL GAS E LA STRATEGIA DELLA TENSIONE
La strategia della tensione russa è, quindi, tutta declinata all’esportazione di gas, soprattutto per quei Paesi maggiormente dipendenti dal suo approvvigionamento. Ad esempio, in questi giorni è andato in scena uno scontro tra Zelensky e il premier slovacco Robert Fico, il quale ha dichiarato che se l’Ucraina interromperà il flusso di gas, allora la Slovacchia è pronta a bloccare la fornitura di elettricità verso Kiev (una partita che, come ha ricordato anche Zelensky, fa guadagnare a Bratislava circa 200 milioni di dollari l’anno). Il Presidente ucraino ha pesantemente attaccato il suo omologo slovacco, accusandolo anche di essere uno strumento di Mosca in una partita così delicata come quella dello scontro sul gas. L’Ucraina, tra l’altro, con questo stop rinuncia a circa un miliardo di dollari all’anno in accise sul transito, eppure per Zelensky questo blocco è un fattore positivo. Ha infatti dichiarato che, se quando Putin prese il potere il pompaggio annuale attraverso l’Ucraina era di oltre 130 miliardi di metri cubi, al momento è pari a zero. Naturalmente, nella strategia di Kiev c’è anche un taglio ai ricavi di Mosca in modo che non vadano a finire nella macchina bellica. Infatti, la Russia con questo stop perde tra i 5 e i 6,5 milioni di dollari ogni anno.
Di rimando, Putin ha invece dichiarato che l’Ucraina con questa sua decisione starebbe “punendo l’Europa”. Allo stesso tempo il leader russo si sarebbe già detto disponibile a riorganizzare il transito attraverso la Bielorussia e la Polonia, così da superare l’impasse causata dall’Ucraina. Inoltre, Mosca guarda anche a mercati alternativi oltre ad un ulteriore potenziamento del TurkStream. Una possibilità (tutta da verificare) che metterebbe però in agitazione le cancellerie europee, soprattutto dopo gli sforzi, in larga parte ancora in corso, avviati nel 2022 per affrancare l’Europa dall’importazione di gas russo. La tensione è alimentata in queste settimane anche in Moldova, dove è stato eletto un presidente apertamente filoeuropeo. Qui Gazprom ha già reso nota la sua volontà di chiudere i rubinetti e di interrompere l’esportazione di gas a causa di rimesse mancanti. Il Paese moldavo ha quindi deciso di passare in prima battuta al razionamento del gas e lo stato di emergenza (già dal 16 dicembre scorso), attraverso un taglio della distribuzione pari al 30%. Solo durante le prossime settimane il quadro della situazione, a livello globale, diventerà più chiaro e si potranno definire impatti e incidenza dei cambiamenti.