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Una presidenza incerta della Commissione europea

Costruire un’Europa conservatrice - Giugno 14, 2024

Tra il 7 e il 9 giugno 2024, tutti i cittadini europei con diritto di voto sono stati convocati nei rispettivi seggi elettorali per eleggere la composizione di alcune istituzioni europee per i prossimi 5 anni.

Come è noto a tutti, i risultati hanno mostrato poche novità o, per meglio dire, sorprese, nei risultati che hanno quindi la composizione del nuovo Parlamento Europeo. Mentre il Partito Popolare Europeo è riuscito ad aggiungere solo sette eurodeputati, i Socialisti e i Democratici Europei hanno perso sostegno e nove parlamentari. I Conservatori e Riformisti Europei, invece, hanno aumentato il numero di voti, il che ha comportato, di conseguenza, un aumento di sette seggi al Parlamento Europeo. I liberali di Rinnovare l’Europa, invece, hanno perso quasi 30 deputati, un risultato simile a quello dei Verdi, che hanno perso 21 rappresentanti. Identità e Democrazia è passata da 62 a 58 seggi in Parlamento. Infine, il mix di deputati che compongono la sezione dei Non iscritti è di 45, ben lontano dai 57 della scorsa legislatura.

Questo scenario, quindi, mostra da un lato le richieste dei cittadini europei di una nuova direzione delle politiche dell’Unione. Più conservatorismo e più protezionismo, che evidenzierebbero una volta per tutte la necessità che l’industria europea, così come i suoi mercati, tornino a essere una classe a sé stante nella configurazione globale. D’altra parte, non sembra esserci alcun movimento da parte del Partito Popolare Europeo per cambiare la storica coalizione che ha mantenuto con i socialdemocratici europei per governare sia la Commissione che l’Europarlamento. Tuttavia, l’Unione Europea, culla della democrazia, deve accettare che le inclinazioni politiche dei cittadini europei stanno cambiando e che, quindi, deve aprire la possibilità, di propria iniziativa, di sperimentare formule di governo che riflettano la maggioranza sociale che ha votato lo scorso fine settimana di giugno.

Il Parlamento Europeo, per adottare qualsiasi decisione, compresa l’elezione del Presidente della Commissione Europea, come farà nei prossimi 16, 17, 18 e 19 luglio, ha bisogno di una maggioranza assoluta che approvi un numero significativo di posizioni della società europea. In altre parole, su 720 europarlamentari, il prossimo candidato, o meglio, secondo tutte le stime, la prossima candidata donna, avrà bisogno di almeno 361 voti a favore per diventare il nuovo presidente della Commissione Europea.

Negli ultimi giorni, la popolare Ursula Von der Layen sta cercando di convincere i Verdi a contribuire con la loro astensione, come hanno fatto nella precedente legislatura. Tuttavia, è necessario avvertire che ciò comporterebbe solo ulteriori problemi per la normale continuità dei prossimi cinque anni legislativi. In altre parole, cercare di convincere un gruppo che ha perso 21 eurodeputati e schivare la possibilità di contare sui Conservatori e Riformisti Europei che, insieme al PPE, sono stati l’unico gruppo che ha aumentato considerevolmente la propria percentuale di voti, sarebbe un errore che verrebbe rimpianto da tutti i cittadini europei.

È vero, però, che sembra molto difficile realizzare un’alleanza di destra che metta al centro la cura dei cittadini europei, la sicurezza dei confini e la sovranità di ogni Stato, rispettando la competitività europea e il Mercato Comune e rivendicando la nostra posizione di attori chiave in campo geopolitico per la prossima composizione della Commissione Europea. Questa conclusione deriva direttamente dal numero di deputati e dall’aritmetica parlamentare, in cui i gruppi cristiano-democratici e conservatori non riescono a raggiungere i 361 voti a favore che, come detto, sono necessari per ottenere la maggioranza assoluta.

Queste questioni di matematica parlamentare non devono confondere i futuri candidati alla presidenza della Commissione, che commetterebbero un errore se lasciassero da parte l’unica forza, oltre al PPE, che ha ottenuto risultati positivi rispetto alle precedenti elezioni, perché lascerebbero da parte più del 10% degli elettori dell’Unione Europea.