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Haiti nelle mani dei criminali

Politica - Marzo 18, 2024

La crisi dello Stato caraibico e le implicazioni geopolitiche. Cosa sta succedendo ad Haiti?

Se, come visto negli articoli precedenti, il Sud America rappresenta uno degli scenari geopolitici più caldi a causa delle frequenti instabilità politiche e degli estremismi progressisti che si propongono alla guida dei Paesi, il Nord America sembra tendenzialmente più tranquillo, anche nello scenario caraibico.

Attualmente ad Haiti è in corso una crisi politica e istituzionale significativa che non ha ricevuto molta attenzione da parte dei media. Tuttavia, sta causando preoccupazioni a livello internazionale. Haiti è un Paese francofono situato sulla costa occidentale dell’isola di Hispaniola, che condivide quasi equamente con la Repubblica Dominicana.

L’isola, e in particolare la Repubblica di Haiti, è stata una delle aree più difficili del mondo. Nell’arco di due decenni, Haiti ha affrontato due uragani devastanti, il secondo terremoto più distruttivo della storia dell’umanità nel 2010 e un altro terremoto di magnitudo superiore a 7 sulla scala Richter. Questa situazione ha completamente paralizzato il Paese, provocando circa 235.000 morti a causa di eventi sismici o atmosferici.

La situazione nel Paese sta rapidamente peggiorando. Attualmente, il 27% della popolazione sta vivendo una crisi alimentare, con oltre 2 milioni di persone che stanno affrontando una vera e propria emergenza e rischiano di morire di fame. L’inedia ha anche indebolito la loro resistenza sanitaria, portando a varie carestie ed epidemie come il colera. I periodi di relativa tranquillità sono stati possibili solo grazie alla massiccia presenza militare americana nel Paese. Tuttavia, la missione delle Nazioni Unite coordinata dal Brasile sta attualmente lottando per garantire una situazione migliore.

Miramar, Florida/USA – 15 aprile 2018: Il presidente haitiano Jovenel Moïse sul palco del Miramar Cultural Center.

La situazione politica ad Haiti è attualmente estremamente instabile. Il 7 luglio 2021, il Presidente della Repubblica Jovenel Moïse è stato assassinato nella residenza presidenziale. Prima di morire, aveva nominato Ariel Henry come suo successore. Tuttavia, a causa dell’assassinio, Enrico non poté prestare immediatamente giuramento. In seguito, le autorità haitiane hanno iniziato a indagare su Henry, che si è rifiutato di collaborare con le loro indagini. La situazione ad Haiti rimane tesa e incerta.

Il commando che è andato ad assassinare Moïse era composto da una trentina di persone di origine haitiana, principalmente di cittadinanza colombiana e statunitense, il che fa pensare a un’operazione combinata con i cartelli della droga, duramente combattuti dal Presidente durante il suo mandato.

Nonostante sia formalmente indipendente, Henry proviene da alcuni partiti di centro-sinistra e ha più volte chiesto un sostegno concreto al presidente americano Joe Biden. Non è una novità, visto che il Paese dipende in modo significativo dagli Stati Uniti. E proprio gli Stati Uniti hanno iniziato ad abbandonare il Paese, evacuando il proprio personale diplomatico e quello dell’Unione Europea e della Germania.

Lo scorso 29 febbraio, infatti, si è verificata un’evasione di massa che ha portato alla ricostituzione delle bande criminali che – nonostante fossero un tempo rivali – si sono unite per rovesciare il governo di Enrico e prendere il controllo della Repubblica.

Henry ha inizialmente ceduto, dimettendosi dopo che le bande hanno occupato e controllato la capitale dello Stato, Port-au-Prince. Un’occupazione che era già in atto dallo scorso anno, ma che ha visto un’intensificazione esponenziale nei primi giorni di marzo. La polizia non è in grado di rispondere al fuoco, poiché i 10.000 agenti disponibili sono insufficienti e molti dei 1.500 poliziotti che si sono recentemente dimessi si stanno addirittura unendo ai criminali.

La figura che attualmente domina la scena nel campo dei “ribelli” è Jimmy Chérizier detto “Barbecue”, che è a capo del G9 (unione delle 9 principali bande presenti sul territorio) e che si è già fatto notare per aver causato una crisi energetica sequestrando 25.000 tonnellate di gasolio. Le proteste sono iniziate dopo che Henry aveva promesso di indire elezioni anticipate il 7 marzo, salvo poi annullarle; Henry si è recentemente recato in Kenya per chiedere alle Nazioni Unite un contingente armato.

La situazione sta diventando critica: Henry non è un ospite gradito nella Repubblica Dominicana, per cui ora è essenzialmente un “rifugiato” a Porto Rico, sul suolo statunitense. Un ruolo importante è ora svolto da Mohamed Irfaan Ali che, nonostante il nome, è presidente della Guyana e della Caricom, la Comunità dei Caraibi. Spetterà inoltre a lui garantire una transizione pacifica e moderare le varie posizioni e soprattutto garantire l’appoggio degli Stati Uniti nella risoluzione della crisi, sfruttando anche il fatto che il suo partito è di sinistra e potrebbe quindi contare sull’appoggio sia dei democratici americani che delle sinistre sudamericane, dirette estensioni dei BRICS. La “guerra fredda” colpisce anche Haiti.

Gli Stati Uniti, secondo le ultime notizie, partecipano alla missione di sicurezza guidata dal Kenya con un contributo di 300 milioni di dollari, con le truppe africane già in fase di pre-dispiegamento per sedare le rivolte guidate da “Barbecue”. La situazione richiede ovviamente un’attenzione particolare anche dal punto di vista geopolitico.

Infatti, la Repubblica Dominicana, che già in passato aveva accolto migliaia di migranti da Haiti, questa volta ha chiuso la frontiera e l’unica voce alternativa in aiuto di Haiti è quella del Presidente di El Salvador Nayib Bukele, che ha ricordato la propria repressione delle bande nel Paese come esempio concreto della possibilità di contrastare efficacemente i ribelli criminali.

I morti per mano dei banditi, tra il 2023 e il 2024, sono circa oltre 5.000, con 700 feriti e 3.000 sequestrati che rendono Haiti letteralmente invivibile, producendo una fuga di persone che, bloccate dai dominicani, hanno come unica opzione quella di rifugiarsi negli Stati Uniti, che però sono in piena campagna elettorale.

Sullo sfondo appare una figura, richiesta da molti ma difficile da far approvare: sembra che uno dei pochi in grado di riportare l’ordine sia Jean-Bertrand Aristide. Aristide è stato infatti Presidente di Haiti a più riprese tra il 1991 e il 2004, estromesso da un paio di colpi di Stato e distanziato dal limite di due mandati consecutivi.

Per molti, Aristide è l’unico in grado di assicurare il benessere del Paese, in quanto viene identificato come una sorta di eroe nazionale, avendo rovesciato il precedente regime dei Duvalier (François e Jean-Claude, padre e figlio) che durava ininterrottamente dal 1957 e che è caduto nel 1986 anche sotto la spinta della predicazione di Aristide.

Il personaggio, però, è piuttosto impopolare tra vari gruppi sociali, soprattutto tra la comunità cattolica di Haiti e tra i più conservatori: se infatti attualmente c’è solo la polizia a rispondere ai criminali è perché Aristide, in reazione al colpo di stato militare che lo ha spodestato, ha deciso di sciogliere l’esercito al suo ritorno al potere. Inoltre, la Chiesa cattolica è stata coinvolta negli scandali di WikiLeaks avendo più volte osteggiato la figura di Aristide dopo aver cercato in qualche modo di consigliarla nei momenti più turbolenti del suo governo.

In ogni caso, resta il fatto che solo i suoi governi hanno avuto un minimo di stabilità, o almeno non hanno avuto come unico esito quello di rivolte popolari e dimissioni anticipate, anzi spesso sono stati i gruppi di interesse a rimuoverlo.

Tuttavia, è molto probabile che la questione haitiana diventi uno dei primi argomenti nell’agenda del futuro Presidente degli Stati Uniti: il ruolo americano nella gestione della crisi e le ripercussioni economiche e sociali, oltre che migratorie, sono infatti punti molto importanti per valutare l’operato di un Presidente.