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Sul Rapporto di Draghi

Commercio ed Economia - Settembre 19, 2024

Si tratta di una “sfida esistenziale”: se l’Unione Europea non supera il divario di competitività che esiste con superpotenze come Stati Uniti e Cina è condannata ad una “lenta agonia”, fino a quando non si troverà nella condizione di dover sacrificare “il benessere, l’ambiente o la sicurezza” per poter sopravvivere. È in questi termini che l’ex Governatore della BCE, Mario Draghi, ha scelto di spiegare in quale fase storica si trovi l’Unione all’interno del suo rapporto Il futuro della competitività europea presentato il 10 settembre scorso a Bruxelles. Si tratta di 327 pagine all’interno delle quali Draghi delinea una nuova strategia industriale (e non solo) per l’Unione Europea, così da invertire il declino paventato di fronte alle altre super potenze. Un insieme di 170 proposte che spaziano dalle politiche economiche alla difesa, fino al debito comune e alla riforma dei meccanismi decisionali interni all’Unione.
I TRE NODI DEL RAPPORTO DRAGHI
In particolare, il rapporto di Draghi pone tre elementi centrali, tre nodi da dipanare per lavorare sul futuro dell’Unione Europea. Si parte con l’innovazione e, quindi, gli investimenti. Primo punto veramente dolente del piano, dato che per l’analisi servirebbero 750-800 miliardi di euro l’anno per essere al passo con USA e Cina nelle grandi sfide economiche e tecnologiche. Si tratterebbe – hanno riferito diversi analisti – di un doppio piano Marshall che varrebbe all’incirca il 4,7% del PIL continentale. Un investimento che, secondo Draghi, potrebbe mettere in sicurezza il benessere e la libertà della società europea. L’innovazione, nelle raccomandazioni di Draghi, sarebbe stimolata anche attraverso il rafforzamento del Consiglio Europeo per l’Innovazione. Una mossa che lo avvicinerebbe all’agenzia statunitense DARPA, finalizzata al supporto alle tecnologie strategiche. Le startup dovrebbero beneficiare di un regime legale semplificato e unico per tutta l’Unione Europea, mentre si dovrebbero rafforzare le network utili allo sviluppo dell’AI, fino alla revisione del settore delle telecomunicazioni, anche a fronte di modifiche sostanziali alle regole sulla concorrenza. Il secondo nodo del report riguarda l’ambiente e l’industria, da sviluppare insieme considerando le necessità dell’uno e dell’altra. Decarbonizzazione, quindi, affiancata alla competitività, cercando di accumunare obiettivi che invece vengono percepiti in netto conflitto tra loro. Centrali in questo processo sono alcune iniziative, come l’acquisto comune di stock di gas, o la revisione del costo delle rinnovabili slegandolo da quello del metano, che potrebbero concorrere ad abbassare i costi dell’energia. Accelerare, quindi, la decarbonizzazione, ma considerando il principio della “neutralità tecnologica”, puntando anche sul nucleare al fianco delle rinnovabili, con reattori di nuova generazione. Infine, la sicurezza, che il rapporto di Draghi legge in un’accezione molto ampia. Mentre ci si avvia alla fine del terzo anno di guerra in Ucraina, un’analisi sul futuro dell’Europa non può non contenere un’attenzione speciale ai temi della sicurezza e della difesa. Infatti, per la prima volta dopo la guerra fredda, la pace e la libertà in Europa non si possono più dare per scontate. In particolare, viene analizzata l’assenza di una politica di difesa comune, oltre ad un settore industriale dedicato alla difesa parcellizzato in aziende piccole. Il suggerimento di Draghi in questo caso è quello di aggregare commesse tra gruppi di Stati membri, così da integrare la produzione.
Altro tema riguarda gli investimenti in questo settore, soprattutto su ricerca e sviluppo, ma la sicurezza è richiamata dall’analisi di Draghi anche sotto il profilo dell’indipendenza nel campo delle materie prime critiche.
RIVEDERE I MECCANISMI EUROPEI
È chiaro che l’impalcatura europea e i meccanismi che la regolano abbiano bisogno di una profonda revisione per far fronte alle sfide e alle criticità che aspettano gli Stati membri negli anni a venire. In particolare, il rapporto delinea la necessità di intraprendere una riforma del funzionamento dell’Unione, che passi da una diminuzione della burocrazia oltre che per il superamento dei veti. Secondo Draghi, infatti, la maggioranza assoluta paralizza la capacità decisionale e di iniziativa dell’Unione. Sarebbe quindi più utile estendere a più materie le votazioni soggette alla sola maggioranza qualificata. Oppure, in parallelo, incentivare la “cooperazione rafforzata” tra alcuni paesi su determinate tematiche, fino alla stesura di accordi tra Stati al di fuori dei trattati dell’UE.
LA QUESTIONE RISORSE
Prima ancora di analizzare i problemi dal punto di vista politico e delle relazioni tra gli Stati membri all’interno di questo rapporto, c’è da guardare al vero ostacolo da superare: le risorse annuali necessarie, secondo Mario Draghi, per il rilancio dell’Unione. Si tratta, infatti, di circa 800 miliardi di euro ogni anno, per i quali sarebbe necessaria una grossa fetta di investimenti pubblici. Per questo è lo stesso rapporto a consigliare l’erogazione regolare di eurobond. Naturalmente, in merito a questo tema non mancano le resistenze (approfondiremo più avanti) soprattutto da parte dei paesi frugali. Stessa criticità potrebbe essere rilevata nella misura intermedia proposta dal rapporto di Draghi, ovvero la possibilità di ritardare il rientro del debito accumulato dagli Stati membri con il PNRR, utilizzandolo in altri settori strategici collegati alle priorità per il futuro. Come fare, quindi, per trovare i fondi necessari al rilancio dell’UE? Le soluzioni fin qui prospettate sembrano difficilmente percorribili a causa delle opposizioni riscontrate e che tra poco analizzeremo. Il problema in questo caso è che le misure pensate per assicurare il futuro all’Unione rischino invece di farla naufragare.
C’È CHI PRENDE LE DISTANZE
Di fronte a misure e investimenti come quelli proposti dall’ex Governatore della BCE, lo scontro tra differenti visioni economiche è chiaro e inevitabile. Il primo ostacolo, già chiaramente espresso da alcune dichiarazioni esternate dall’esecutivo, arriva dalla Germania, assolutamente non interessata ad innalzare il debito comune per finanziare gli investimenti, con il rischio di replicare quanto fatto da Berlino con il contenimento del debito che si è pian piano trasformato in stagnazione economica. Basta prendere in considerazione quanto dichiarato dal Ministro delle Finanze tedesco, Lindner, per comprendere quale sia la posizione della Germania: “Un debito comune dell’UE non risolverà alcun problema strutturale”. Il rischio, quindi, è che il rapporto di Draghi divida ulteriormente l’Europa invece di unirla. Potrebbero essere certamente i frugali, con la Germania in testa, a fare fronte comune contro questo tipo di iniziative. Austria, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia e Repubbliche Baltiche considerano impensabile procedere con investimenti a debito, puntando invece nel mantenere il più contenuto possibile il bilancio europeo.

Con loro si schiererebbero probabilmente anche i Paesi membri dell’Est, interessati a mantenere lo status quo per continuare a percepire i fondi fin qui ottenuti dalle politiche europee. Tema complesso nelle cancellerie è anche quello della revisione dei trattati per agevolare le votazioni a maggioranza qualificata. L’abbandono del voto all’unanimità potrebbe essere fortemente osteggiato da diversi leader interessati a mantenere la prerogativa nazionale al di sopra di quella comunitaria, soprattutto su temi e ambiti piuttosto sensibili. Quindi, chi potrebbe appoggiare il rapporto di Draghi? Sicuramente in prima fila potrebbe esserci la Francia, che da giugno è tra i sette Paesi (assieme all’Italia) finiti sotto controllo del deficit. Per il nuovo premier Michel Barnier il rapporto presentato da Draghi, che promette di rimettere quantomeno in discussione le regole europee, potrebbe essere la strada giusta da imboccare per schivare una procedura per eccesso di disavanzo. Per quanto riguarda l’Italia non arrivano ancora critiche specifiche al rapporto. Il Governo fino ad ora ha parlato attraverso il capo delegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles, Carlo Fidanza, il quale ha però sottolineato alcuni errori fatti nel recente passato. Nel rapporto di Draghi viene fatto riferimento alle sfide con cui l’Unione Europea è chiamata a confrontarsi, oltre a salutare con favore la volontà di mettere la parola fine ad una stagione dominata dall’ideologia ultra-ambientalista e soprattutto anti-industriale.