fbpx

Superare l’austerity per rilanciare l’economia e la sicurezza dell’Europa

Commercio ed Economia - Ottobre 3, 2024

Il rapporto presentato a Bruxelles il 10 settembre dall’ex Governatore della BCE, Mario Draghi, ha posto sul tavolo alcuni interessanti spunti di analisi, sia per il futuro dell’Unione Europea sia per l’approccio degli Stati membri in termini di politiche economiche. Sembra chiaro che il futuro dell’Europa non può che passare per nuovi investimenti, ma è ancora più ovvio che questi debbano essere portati avanti con intelligenza e nei campi che maggiormente possano mettere l’Unione al riparo dagli attacchi e dalle ingerenze del mercato internazionale.
IL LIMITE DEL RAPPORTO DRAGHI
Nelle 327 pagine del suo Rapporto sul futuro della competitività europea, Mario Draghi ha voluto delineare soprattutto una nuova strategia industriale e di riforme politiche e organizzative per l’UE. Lo scopo che l’ex Governatore si è posto è quello di cercare una strada che possa invertire il declino dell’Unione Europea rispetto alla crescita di altre super potenze internazionali come Stati Uniti e Cina. Nel Report sono state inserite ben 170 proposte che spaziano dalle politiche economiche alla difesa, fino al debito comune e alla riforma dei meccanismi decisionali interni all’Unione. Il problema di questo testo, però, è soprattutto legato alle volontà e alle aspirazioni di alcuni Stati membri che potrebbero non incontrare l’entusiasmo di Draghi per gli investimenti e per l’ampliamento del debito comune. Infatti, il vero punto dolente è che, secondo l’analisi, sarebbero necessari dai 750 agli 800 miliardi di euro l’anno per essere competitivi con gli USA e la Cina. Il riferimento posto dalla stampa internazionale è quello dell’ordine di grandezza di circa due piani Marshall: una manovra di investimenti che arriverebbe a valere all’incirca il 4,7% del PIL europeo. L’affermazione di Draghi in merito a questi investimenti è chiara e forte allo stesso tempo. Secondo il Governatore, infatti, solo in questo modo si potrebbero mettere in sicurezza l’indipendenza, il benessere e la libertà della società europea. Naturalmente le sensibilità, soprattutto in materia economica, differiscono da una cancelleria all’altra. Non tutti i governi dei Paesi membri sarebbero infatti disponibili a seguire le linee giuda di Draghi accettando, ad esempio, l’emissione di nuovi eurobond. Un fronte contrario che potrebbe mettere non poco in difficoltà le istituzioni europee uscite dalle ultime elezioni.
IL FRONTE DEI CONTRARI AGLI INVESTIMENTI
La contrarietà all’ampliamento del debito comune è certamente espressa dai governi dei paesi frugali che incarnano diverse visioni economiche rispetto agli investimenti proposti da Draghi. Il primo è certamente il governo tedesco, secondo il quale l’innalzamento di un debito comune europeo non potrebbe risolvere nessun problema strutturale dell’economia dell’Unione. Restano probabilmente contrarie anche le posizioni di Austria, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia e Repubbliche Baltiche. Tutti governi che adottano le politiche economiche di contenimento del debito e del bilancio europeo. Senza dimenticare i Paesi membri dell’est, interessati a non rivedere lo status quo e gli investimenti ad esso collegati. Posizioni molto difficili da superare per le nuove istituzioni europee. Soprattutto se si guarda anche agli altri accorgimenti pensati da Draghi nel suo report: in particolare a quando si parla di revisione dei trattati per agevolare le votazioni aumentando le materie su cui l’Aula si può esprimere a maggioranza qualificata e non più assoluta. Sono diversi i leader che potrebbero non vedere di buon occhio questa prospettiva, soprattutto perché si rischia di ledere, diminuendola, l’autonomia decisionale dei Paesi membri su materie particolarmente sensibili. La soluzione sembra quindi lontana, anche se forse una linea verso le prospettive di Draghi potrebbe andare incontro alle aspettative di tanti Paesi membri. La questione da porre sul tavolo, al momento, dovrebbe essere quella di superare l’austerity che da troppo tempo attanaglia le istituzioni europee e quindi, di rimando, i governi dei membri dell’Unione. Anche le resistenze delle cancellerie più abituate a queste politiche dovrebbero essere superate per assicurare una crescita economica all’Europa.
COME SUPERARE L’AUSTERITY
Il superamento della condizione di austerity è un percorso complesso e delicato, per il quale servono istituzioni europee che sappiano assumersi l’onere di una sfida importante. In particolare, le forze conservatrici hanno inserito nei loro programmi diverse iniziative, misure e politiche economiche che potrebbero dare una spinta non indifferente alla crescita economica dell’Unione Europea. Si tratta di obiettivi chiari e di una maggiorazione degli investimenti per trainare la crescita economica, soprattutto nell’ottica di colmare il divario all’interno del mercato globale. In poche parole, non si può preservare la politica di austerità che l’UE ha conosciuto negli ultimi anni. L’idea alla base del ragionamento è che la sostenibilità del debito possa essere raggiunta e garantita soltanto attraverso la crescita, con investimenti strutturali e non con tagli indiscriminati alla spesa pubblica che hanno il solo risvolto di deprimere ulteriormente l’economia. Si possono utilizzare in modo più rapido ed efficiente le risorse messe sul tavolo dall’Europa, in particolare il PNRR e i fondi della Politica di Coesione. L’ottica, però, deve essere quella di sostenere famiglie e imprese degli Stati membri, attraverso un ammodernamento generale del sistema produttivo, del mondo del lavoro e del servizio assistenziale. In questo senso gli Stati dovrebbero necessariamente porre maggiore attenzione alle aree più disagiate dei territori, più periferiche e magari lontane dai flussi economici. Anche negli investimenti in queste zone, infatti, starebbe la chiave della crescita da articolare in diversi interventi e politiche.
INTERVENTI CHE CREANO CRESCITA E STABILITÀ
La parola d’ordine in questo caso è “coraggio”, quello che le Istituzioni europee fin qui hanno dimostrato di non possedere. Allo stesso tempo serve grande capacità di analisi e di comprensione delle dinamiche e dei meccanismi economici alla base delle politiche europee e degli Stati membri. In particolare, proprio gli Stati hanno bisogno di una certa flessibilità nelle proprie finanze, ed è in questo senso che si deve puntare ad un miglioramento sostanziale del Patto di Stabilità e Crescita. C’è quindi bisogno di una strategia degli investimenti che miri a raggiungere gli obiettivi – più volte declinati e decantati – di indipendenza industriale ed energetica, nella doppia accezione di sicurezza economica e difesa nei confronti di dinamiche internazionali sempre più tese e votate al conflitto. Naturalmente la crescita industriale non può essere falcidiata dall’ideologia green o dalla cieca obbedienza alle dinamiche più integraliste del green deal. Le spese per l’investimento sulla transizione verde, per quella verso un’Europa sempre più digitale e per la difesa – così importante in questo contesto internazionale – non devono, quindi, essere computate nel deficit, così da non pesare ulteriormente sul bilancio nazionale. Sempre sul fronte dell’economia nazionale per il sostegno alle imprese e alle famiglie, i governi dovrebbero farsi carico di un ulteriore braccio di ferro con la BCE in materia di tassi di interesse, così da riaprire la possibilità di mutui e finanziamenti per riattivare l’economia nazionale. L’attenzione deve poi essere posta anche alle politiche in divenire dell’Unione Europea. Una fra tutte la possibilità che dal 2028 venga inserito l’euro digitale come moneta di scambio. Una possibilità che non dovrà assolutamente pesare sulle tasche di cittadini e imprese. È d’altronde questa la sfida di vigilanza che devono porsi le forze conservatrici. Non è possibile pensare che l’introduzione di questa misura, voluta per agevolare i pagamenti digitali nell’ottica della semplificazione e del tracciamento, possa gravare sui cittadini e indirettamente sull’economia europea.
IL PNRR E LA POLITICA DI COESIONE DOPO IL 2026
Altra sfida è quella di traghettare la logica del PNRR fino alla scadenza concordata del 2026, rispettando il calendario e portando a termine gli interventi previsti. Allo stesso tempo però si deve guardare anche ai prossimi anni, puntando ad una riforma della Politica di Coesione oltre il 2027, nell’ottica di un impiego più coerente dei fondi. Su questo il Governo italiano, ad esempio, è stato chiaro già durante la campagna per le Elezioni Europee: l’obiettivo deve essere quello di spendere di più e soprattutto di farlo meglio rispetto a quanto fatto in passato.