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La vicenda siriana e le ripercussioni sulla regione e sulla politica europea

Conflitti in Medio Oriente - Dicembre 12, 2024

La fluidità della situazione in Siria rappresenta sicuramente un rebus per gli analisti di tutto il mondo. In questo momento, infatti, le tensioni, i rapporti di forza e le criticità nella regione dovranno necessariamente riorganizzarsi per trovare un nuovo equilibrio. Anche, lo ricordiamo, nell’ottica delle altre crisi internazionali che coinvolgono, se non direttamente attraverso i loro più stretti alleati, gli attori in causa. Così la guerra in Ucraina e gli scontri a Gaza e in Libano con Israele, non potranno non venire influenzati da questo nuovo assetto. Sono diversi i fronti e i temi da affrontare per realizzare un’analisi precisa della situazione. In questo caso cercheremo di mettere in fila solo alcuni di questi aspetti, quelli forse tra i più impellenti sulla scena internazionale ed europea, così da porre le basi per analizzare una situazione tutta ancora in divenire. In particolare, ci concentreremo sull’operazione lanciata da Israele sulle alture del Golan e sulla questione dei flussi migratori e delle richieste di asilo, in relazione alle quali le cancellerie europee si stanno riorganizzando con un freno alle procedure di analisi delle domande.

ISRAELE E IL GOLAN
Il collasso del regime di Bashar al-Assad ha riportato immediatamente l’attenzione sulle alture del Golan, con Israele che ha subito occupato le aree della fascia di sicurezza lungo il confine con la Siria. Netanyahu si è subito affrettato a parlare di un’azione limitata e temporanea, ma sono ugualmente scattate le condanne a quella che viene intesa anche dall’ONU come una palese violazione degli accordi in vigore dal 1974. È, infatti, precisamente da cinquant’anni che un contingente ONU pattuglia quest’area. Si tratta della missione UNDOF, che attualmente conta circa 1.000 uomini schierati in loco, con il compito di supervisionare l’attuazione degli accordi mantenendo il cessate il fuoco tra i due paesi. Per Israele questa operazione, seppur definita “limitata”, costituisce comunque un nuovo fronte che si aggiunge a quello con il Libano (sul quale vige un cessate il fuoco), alla guerra a Gaza e alla tensione continua nello Yemen e sul Mar Rosso.
Probabilmente al momento il premier israeliano valuta come nulli gli accordi del 1974: con la caduta di Assad la volontà di Netanyahu sarebbe quella di rivedere le posizioni assunte cinquant’anni fa. Al momento, infatti, con l’abbandono delle postazioni da parte dei soldati siriani, Israele si trincera dietro il pericolo di avere nuove forze ostili ai confini. Se, quindi, le forze israeliane potrebbero ritirarsi qualora il nuovo governo assicurasse il mantenimento degli accordi, tutt’altra situazione riguarda le aree annesse formalmente dal 1981 con un’azione non riconosciuta e condannata da gran parte della comunità internazionale. Per queste aree non ci sarebbe però nessuna possibilità di ritiro, in quanto vengono considerate da Israele come intoccabili.
Va poi considerato l’incremento delle incursioni Israeliane con il bombardamento di varie zone della Siria con l’obiettivo di distruggere basi militari o fabbriche di armi. L’obiettivo palese è quello di evitare che queste risorse possano cadere in mani sbagliate (si legga: non favorevoli ad Israele); c’è però sicuramente la volontà sottesa di ridurre la capacità militare del nuovo governo siriano, così da mettere in sicurezza perlomeno uno dei confini. D’altronde, Netanyahu ha sottolineato che se gli esponenti del nuovo governo vorranno avere buoni rapporti con Israele non ci saranno problemi, ma se arriveranno delle minacce si passerà alla difesa. È lo stesso ambasciatore israeliano all’ONU, Danny Danon, nel voler rassicurare sull’incursione nel Golan, a riferire che Israele non sta intervenendo nel conflitto in corso tra gruppi siriani, ma solo per la sicurezza dei propri confini. Di rimando l’inviato ONU in Siria, Geir Pedersen, ha chiesto lo stop ai raid e agli spostamenti israeliani.
Naturalmente, negli equilibri della regione la mossa di Israele non è passata di certo inosservata. L’Iran ha condannato l’avanzata sul Golan, con il portavoce del ministero degli Esteri che ha parlato di invasione, condannando anche il silenzio dell’occidente in merito alle mosse di Tel Aviv. Per l’Arabia Saudita quanto realizzato sul Golan da Israele sarebbe invece un’operazione volta a minare la reale possibilità per il nuovo Governo siriano di arrivare alla riconquista della sua integrità territoriale, mentre la Turchia, vicinissima al nuovo Governo, parla di una “mentalità dell’occupazione”, contro la possibilità invece per i siriani di arrivare alla pace e alla stabilità. Anche la Giordania, in pace decennale con Israele, ha denunciato l’invasione, così come l’Egitto, che lamenta le violazioni degli accordi internazionali. Per gli USA, dal Dipartimento di Stato si continua a sottolineare l’importanza della “temporaneità” di questa incursione, mentre le Nazioni Unite ricordano che per gli accordi del 1974 non devono esserci forze o attività militari nella fascia demilitarizzata.
Una situazione tutt’altro che facile, soprattutto dopo gli annunci israeliani di aver colpito duramente la flotta siriana. Nei prossimi giorni la situazione sul Golan potrebbe quindi assumere una rilevanza fondamentale nell’equilibrio del settore, portando sul tavolo del conflitto – o del negoziato – le istanze di quasi tutti gli attori della regione.

RIENTRI E RICHIESTE D’ASILO
L’Unione Europea è stata chiara: sull’asilo ai siriani la competenza è degli stati membri. È questo il tema innescato dalla caduta del Regime di Assad, che potrebbe portare non pochi problemi alle cancellerie europee. Con la fine del precedente regime, infatti, diversi Paesi membri dell’Unione Europea hanno congelato le procedure di esame delle richieste d’asilo fino, in alcuni casi, a considerare il rimpatrio degli attuali esuli. Partendo dai confini con l’Europa, la Turchia si appresta a fare proprio questo, con l’annuncio che potrebbero rientrare in Siria ben 20.000 rifugiati ogni giorno, dopo l’ampliamento delle capacità dei valichi alle frontiere.
In Europa, con le manifestazioni di piazza e il cambio di bandiere in molte ambasciate, è arrivato anche il freno all’esame dell’asilo. Per prima è stata la Germania ad imporre uno stop: con l’interruzione delle oltre 47.000 domande ancora da valutare (in totale nel 2024 sono state oltre 70.000), Scholz decide di prendere tempo per valutare l’andamento della situazione, forse anche in relazione al comportamento che potrebbero intraprendere le altre cancellerie. In Germania, infatti, vivono oltre un milione di siriani, la maggior parte dei quali arrivati dopo il 2015 con l’apertura della Merkel proprio alle richieste di asilo provenienti dalla Siria.
Secondo i dati dell’ONU, dopo la Germania, i paesi europei in cui vivono più persone siriane sono Svezia, Austria, Grecia, Francia e Paesi Bassi, e in tutti questi Stati si stanno attuando misure analoghe. Dopo Berlino, sono infatti la Grecia e l’Austria a frenare sull’esame delle richieste. È poi la volta di Norvegia, Danimarca e Svezia. Stoccolma, infatti, punta anche a congelare le espulsioni in attesa di comprendere meglio la situazione a Damasco, mentre l’Olanda potrebbe optare proprio per l’espulsione. Parigi in questo caso non ha voluto prendere posizioni alternative, schierandosi invece con le altre cancellerie e bloccando temporaneamente l’esame delle richieste. Opzione scelta anche dal Regno Unito, che in questo caso si associa alla decisione presa da alcuni dei membri dell’Unione Europea. In Italia si è tenuta una riunione a Palazzo Chigi e la premier Giorgia Meloni ha deciso di dare il via alla stessa misura in via precauzionale. Il Viminale congelerà, quindi, tutti i procedimenti pendenti che fino ad oggi venivano accolti praticamente in automatico, trattandosi di cittadini provenienti da un Paese in guerra. Sempre in Italia è stato anche affrontato il tema, piuttosto spinoso, di come procedere con i cittadini siriani che sono già presenti sul territorio italiano. Sicuramente la situazione in divenire non permette una decisione immediata. Bisognerà infatti capire che tipo di leadership si instaurerà a Damasco e se i diritti fondamentali saranno assicurati. Dal canto suo, la Commissione Europea ha già avvertito le cancellerie che al momento non ci sarebbero le condizioni minime per organizzare dei rimpatri. Probabilmente sarà proprio questo uno dei temi centrali del prossimo Consiglio Europeo del 19 dicembre.

 

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